Io non sono complottista per natura,
anzi diffido dei complottisimi in genere perché generano paura
indistinta.
E, quando non si vede, il lupo fa più
paura di quel che dovrebbe e tutti invocano i cacciatori per fare
giustizia.
Però, un dubbio che prevede un
supercomplotto ai danni dei giovani ce l'ho.
E' un dubbio da supervecchiaccio: i nuovi videogiochi fanno male e sono il piede di porco per far breccia sulle debolezze dei più giovani.
Non è la prevalenza della concezione
bellica di molti videogiochi che circolano che mi disturba (anche se la banalizzazione del dolore altrui e della morte non è del tutto ininfluente nell'immaginario giovanile), né la
tendenza alla devianza che spesso viene rappresentata: Umberto Eco
nella sua lettera a Stefano ci insegna che giocare con le armi di un
tempo, le pistole che facevano sì “Bang”, ma erano solo
microesplosioni di microbombette di carta rese fascinose dal magico
profumo del demonio che era lo zolfo, potrebbe essere solo uno sfogo
del tutto innocuo, anzi terapeutico, per ridurre l'aggressività che giovani e
vecchi controllano come possono: i primi sparando agli Indiani e i
secondi, se va bene, con la razionalità.
No. No. Quel che preoccupa di più è l'attuale
tendenza alla “vetrinizzazione” (v. Codeluppi) del giocatore che
per assurgere alla popolarità deve pagare denaro reale per
distinguersi dal popolo indistinto dei suoi avversari (che ovviamente
compiono la stessa azione nella propria bolla).
E qui chi è più debole e più facilmente circuibile: il preadolescente per natura non è né carne né
pesce e la “popolarità” è un catalizzatore che ha un fascino
incredibile, poiché fornisce identità e alimenta l'autostima
(piccina picciò).
Essere “popolari”, in qualsiasi
modo, è un dogma, neppure tanto nuovo, della società consumista.
Ed è qui il veleno dei videogiochi
odierni: per essere popolari non esiste etica che tenga.
Nel
mondo virtuale tutto si compra (con le carte di credito dei
genitori): identità, immagine sociale e relazioni tra i pari.
Mi sembra ovvio dedurre che il
giovinetto uscito dalla centrifuga virtuale pensi che nel mondo reale
ci si comporti esattamente così: se hai soldi, ti compri le bitch,
hai un ruolo nel mondo e sei un figo al cubo.
La mercificazione dei rapporti umani (e
non solo del lavoro) è l'ultima frontiera del consumismo: per i guadagni del futuro è necessario cominciare a corrompere i potenziali
compratori in tenera età.
Sono un vecchiaccio e non gioco ai
videogiochi da molti anni. Forse sono disinformato.
Sento nell'orecchio la reazione pavloviana dell' “Ehi, boomer!” dei resistenti alle mie parole, ma che mi suona sempre più il
mantra dei tossici eroinomani delle stazioni dei tempi che furono (e
che stanno ritornando alla grande): “ Dammi mille lire, che ti
costa? Non ho soldi per tornare a casa!”
Insomma, l'obiettivo è sempre lo stesso: il denaro come unico strumento per la felicità, la bugia come condimento della relazione con il mondo adulto (perché il coglione sei tu che non sai apprezzare i piaceri della devianza) e lo sballo continuo a ruota.
Certo:"Fortnite" non è una droga, ma spappola lo stesso il cervello.
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