C'è una logica, perversa, ma consequenziale, nel “cattivismo”.
Se vedi nel tuo prossimo un “competitor”, se vedi che la rete di
chi potrebbe aiutarti risulta incapace di contenere le tue debolezze,
se pensi che la tua forza, oltre a quella costituita dalle tue
energie interiori, possa essere sostenuta non tanto dalla solidarietà del tuo prossimo e dei tuoi pari, ma solamente dall'aiuto dei tuoi
vicini per sangue o per affinità elettiva (famiglia e cerchia di
amici), è evidente che ti hanno già frullato per bene il cervello.
Il neoliberismo voleva e ha ottenuto
proprio questo: sciogliere i nodi di solidarietà tra gli umani e far sì che il
darwinismo sociale dei singoli o delle famiglie amorali avesse la meglio.
Peccato che tu, abitualmente, ti ritrovi nella
parte inferiore della scala sociale: non sei un vincente, anche se pensi di esserlo, ma sei un
fottutissimo “loser”, uno che non nessuno inviterebbe al Circolo degli Eletti.
E allora, quando te ne accorgi, urli e te la prendi con chi è
più debole di te come Rosso Malpelo, l'orfano della solfatara di
Verga, con Ranocchio, lo storpio che saltella male di qui e di là.
Sei, insomma, la parodia di una
novella dell'Ottocento. Patetica e tristissima.
Rileggi il racconto di Verga, tu che sei vittima dell'inganno, e nell'atteggiamento dell'ingegnere, il padrone della solfatara, scocciatissimo perché obbligato ad abbandonare il teatro per la morte di un meschino, vedrai la reazione delle classi dominanti, a cui consegni da incosciente il tuo destino, per le tue sofferenze. Fastidio, solo fastidio.
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