Questa mia proposta, modesta e umile, è
“politically incorrect”, vi avviso.
Si sta lavorando tirando le corde della Satira
al massimo (o del cattivo gusto per chi avversa tale genere di
operazione): o suonerà armoniosamente o sarà uno strazio alle
orecchie del lettore.
Orbene, ordunque: propongo, in nome
della Massima Trasparenza, l'istituzione di un contrassegno
obbligatorio di riconoscimento per i giornalisti di “Libero”,
de “La Verità”, de “Il Giornale” e di molti dei giornalisti che lavorano in Mediaset.
Chiedo che lo Stato obblighi i suddetti
professionisti di mostrare, mentre scorrazzano tra la plebe e nelle
pubbliche vie, appuntato al doppiopetto, un distintivo, un badge, una
cimice che permetta agli occhi di tutti di identificare il loro ruolo
nel mondo.
Si definiscono e son giornalisti con le
contropalle, no? Che problema ci dovrebbe essere?
Perché dovrebbero vergognarsi di
mostare di appartenere alla categoria benemerita dei giornalisti
d'assalto, di coloro che si occupano coraggiosamente e senza
contropartita della controinformazione in Italia? Dovrebbe essere,
logica vuole, un motivo di vanto e di onore. Che portino il
cartellino, ordunque, qual croce di ferro della loro ardita e
faticosa battaglia quotidiana!
So, però, che questa mia semplice
proposta non sarà accettata: non perché non ritengano la loro
professione ricca di onori e del prestigio tributato da un pubblico
plaudente (e di denaro, anche se di dubbia provenienza).
Rifiuteranno il distintivo,
rivendicando il diritto di vivere nell'anonimato la loro vita
privata.
Mi spiace dissentire: i suddetti,
nell'esercizio della loro professione, mettono ogni giorno sulle
pagine dei loro giornali e dei loro telegiornali, un giorno sì e un
giorno no, la coratella o, se preferite un'immagine diversa, i
calzini e le mutande dei loro oppositori, in genere privati
cittadini, per esporli al vituperio dei loro fedeli lettori e
spettatori.
Lo fanno senza ritegno e senza alcuna
remora morale e, spesso, nel nome supremo dell'Informazione con la
“I” maiuscola, affrontando nei Tribunali il rischio di
salatissimi risarcimenti.
Non cadano in palese contraddizione
rispetto ai loro saldissimi principi!
Della privacy altrui se ne sono fottuti
e se ne fottono assai, come se ne fottono e se ne sono fottuti, e
strologano sull'argomento, facendosene un vanto, del “politically
correct”, tipico, a loro dire, della Sinistra perbenista.
Non temano, comunque: la mia proposta
non vuole precludere loro nessuna libertà.
Noi siamo Buonisti Fino al Midollo
(BFM): all'esclusione preferiamo di gran lunga l'autoesclusione.
I giornalisti dei suddetti giornali e
Telegiornali desiderano andare in un ristorante stellato o nella
trattoria da quattro soldi?
Liberissimi di farlo: il cartellino
sive segnale sive sigillo identificativo non li escluderà , come i
Giudei dopo le Leggi razziali, dalla loro prerogativa di godersi il
cibo dello chef o dell'oste, anzi: si libereranno molti tavoli
intorno al loro desco, perché il loro immediato riconoscimento
permetterà a chi gli starà vicino di allontanarsi discretamente e
senza proferir verbo dal locale.
Lo so che a questo punto partirà di
default, direi come un tic, l'accusa di “razzismo degli
antirazzisti”.
Parliamo senza peli sulla lingua:
l'esclusione dai locali che i suddetti frequentano abitualmente è
una norma da sempre, dettata da forme di apartheid economico e,
talvolta, razziale: costano troppo e non tutti sono ammessi. Ci sono
in genere a preservare la loro riservatezza i “buttafuori”, no?
Se poi qualcuno è diversamente
colorato, tranne che sia parente di Mubarak o ricco a sufficienza o
sportivo di fama, viene spesso escluso, vero? Non è così?
I Locali “esclusivi” (e divisivissimi)
sono il loro Mondo (e la nostra salvezza, diciamolo, visto che ci
permettono di non frequentarli più di tanto per indegnità), si
chiamino Billionaire o Circolo dei Canottieri. Li chiameremo per questo "razzisti"? Giammai: stronzi elitari, senza attico a New York, ma in qualche isola esotica, sì, però.
Orbene, lascino la libertà ai loro
vicini di abbandonare il locale, quando decidano di onorare con la
loro presenza luoghi in genere a loro inadatti negli imi bassifondi
della vita reale.
Non hanno evidenti nasi grifagni che li
rendano distinguibili, né unghie adunche per poterli individuare.
Prendete ad esempio Borgonovo, il
Mastro Lindo videdirettore de “La Verità”: è così laccato e
perbene che lo presentereste, senza sfrucugliare troppo nel suo
passato, alla vostra attempata figliuola per un bel matrimonio
combinato.
Leggete, però, bene bene quello che
scrive e dice in TV e, se non aveste gli occhi foderati di prosciutto
padano, non avreste dubbi nell'inserirlo nella categoria che gli
compete.
Senza cartellino, però, l'operazione
sarebbe improba a prima vista: non ha i frenologici segni della sua
superiorità mentale, quella che gli permette, corroborato dalla
sicurezza tipica delle razze superiori, senza vile indugio, un
giudizio illuminante sulle plebi inette della Sinistra.
Che un cartellino glitterato, una
stella argentea , una croce uncinata gli sia appuntata al petto,
perché tutti sappiano chi è. Rifulga la sua fama e il plauso degli
Illuminati!
Poi ognuno scelga: lo si baci pure,
facendosi un selfie con lui, quale eroe della controinformazione e
per la sua indefessa difesa della Famiglia, della Patria e di Dio
contro gli amanti delle Teorie Gender, dei torbidi segreti di
Bibbiano e delle trame antipatriottiche della Sinistra tutta.
Ma, a mio avviso, sine ira et sine
studio, consiglierei ai più quei cinquanta metri di distanza, quella
distanza che si suol dire di sicurezza: permetterà loro di non
sentire le sue fregnacce lamentose, i discorsi a cappella, le
personalissime ricostruzioni della cattiva fede altrui, la difesa degli indifendibili e
l'insopportabile e ineluttabile vittimismo degli intellettuali che
dicono di sentirsi incompresi perché sono di Destra. Sono incompresi, e a ragione, per altri motivi che qui è bello tacere.
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