venerdì 31 gennaio 2020

Una modesta proposta.


Questa mia proposta, modesta e umile, è “politically incorrect”, vi avviso.
Si sta lavorando tirando le corde della Satira al massimo (o del cattivo gusto per chi avversa tale genere di operazione): o suonerà armoniosamente o sarà uno strazio alle orecchie del lettore.
Orbene, ordunque: propongo, in nome della Massima Trasparenza, l'istituzione di un contrassegno obbligatorio di riconoscimento per i giornalisti di “Libero”, de “La Verità”, de “Il Giornale” e di molti dei giornalisti che lavorano in Mediaset.
Chiedo che lo Stato obblighi i suddetti professionisti di mostrare, mentre scorrazzano tra la plebe e nelle pubbliche vie, appuntato al doppiopetto, un distintivo, un badge, una cimice che permetta agli occhi di tutti di identificare il loro ruolo nel mondo.
Si definiscono e son giornalisti con le contropalle, no? Che problema ci dovrebbe essere?
Perché dovrebbero vergognarsi di mostare di appartenere alla categoria benemerita dei giornalisti d'assalto, di coloro che si occupano coraggiosamente e senza contropartita della controinformazione in Italia? Dovrebbe essere, logica vuole, un motivo di vanto e di onore. Che portino il cartellino, ordunque, qual croce di ferro della loro ardita e faticosa battaglia quotidiana!
So, però, che questa mia semplice proposta non sarà accettata: non perché non ritengano la loro professione ricca di onori e del prestigio tributato da un pubblico plaudente (e di denaro, anche se di dubbia provenienza).
Rifiuteranno il distintivo, rivendicando il diritto di vivere nell'anonimato la loro vita privata.
Mi spiace dissentire: i suddetti, nell'esercizio della loro professione, mettono ogni giorno sulle pagine dei loro giornali e dei loro telegiornali, un giorno sì e un giorno no, la coratella o, se preferite un'immagine diversa, i calzini e le mutande dei loro oppositori, in genere privati cittadini, per esporli al vituperio dei loro fedeli lettori e spettatori.
Lo fanno senza ritegno e senza alcuna remora morale e, spesso, nel nome supremo dell'Informazione con la “I” maiuscola, affrontando nei Tribunali il rischio di salatissimi risarcimenti.
Non cadano in palese contraddizione rispetto ai loro saldissimi principi!
Della privacy altrui se ne sono fottuti e se ne fottono assai, come se ne fottono e se ne sono fottuti, e strologano sull'argomento, facendosene un vanto, del “politically correct”, tipico, a loro dire, della Sinistra perbenista.
Non temano, comunque: la mia proposta non vuole precludere loro nessuna libertà.
Noi siamo Buonisti Fino al Midollo (BFM): all'esclusione preferiamo di gran lunga l'autoesclusione.
I giornalisti dei suddetti giornali e Telegiornali desiderano andare in un ristorante stellato o nella trattoria da quattro soldi?
Liberissimi di farlo: il cartellino sive segnale sive sigillo identificativo non li escluderà , come i Giudei dopo le Leggi razziali, dalla loro prerogativa di godersi il cibo dello chef o dell'oste, anzi: si libereranno molti tavoli intorno al loro desco, perché il loro immediato riconoscimento permetterà a chi gli starà vicino di allontanarsi discretamente e senza proferir verbo dal locale.
Lo so che a questo punto partirà di default, direi come un tic, l'accusa di “razzismo degli antirazzisti”.
Parliamo senza peli sulla lingua: l'esclusione dai locali che i suddetti frequentano abitualmente è una norma da sempre, dettata da forme di apartheid economico e, talvolta, razziale: costano troppo e non tutti sono ammessi. Ci sono in genere a preservare la loro riservatezza i “buttafuori”, no?
Se poi qualcuno è diversamente colorato, tranne che sia parente di Mubarak o ricco a sufficienza o sportivo di fama, viene spesso escluso, vero? Non è così?
I Locali “esclusivi” (e divisivissimi) sono il loro Mondo (e la nostra salvezza, diciamolo, visto che ci permettono di non frequentarli più di tanto per indegnità), si chiamino Billionaire o Circolo dei Canottieri. Li chiameremo per questo "razzisti"? Giammai: stronzi elitari, senza attico a New York, ma in qualche isola esotica, sì, però.
Orbene, lascino la libertà ai loro vicini di abbandonare il locale, quando decidano di onorare con la loro presenza luoghi in genere a loro inadatti negli imi bassifondi della vita reale.
Non hanno evidenti nasi grifagni che li rendano distinguibili, né unghie adunche per poterli individuare.
Prendete ad esempio Borgonovo, il Mastro Lindo videdirettore de “La Verità”: è così laccato e perbene che lo presentereste, senza sfrucugliare troppo nel suo passato, alla vostra attempata figliuola per un bel matrimonio combinato.
Leggete, però, bene bene quello che scrive e dice in TV e, se non aveste gli occhi foderati di prosciutto padano, non avreste dubbi nell'inserirlo nella categoria che gli compete.
Senza cartellino, però, l'operazione sarebbe improba a prima vista: non ha i frenologici segni della sua superiorità mentale, quella che gli permette, corroborato dalla sicurezza tipica delle razze superiori, senza vile indugio, un giudizio illuminante sulle plebi inette della Sinistra.
Che un cartellino glitterato, una stella argentea , una croce uncinata gli sia appuntata al petto, perché tutti sappiano chi è. Rifulga la sua fama e il plauso degli Illuminati!
Poi ognuno scelga: lo si baci pure, facendosi un selfie con lui, quale eroe della controinformazione e per la sua indefessa difesa della Famiglia, della Patria e di Dio contro gli amanti delle Teorie Gender, dei torbidi segreti di Bibbiano e delle trame antipatriottiche della Sinistra tutta.
Ma, a mio avviso, sine ira et sine studio, consiglierei ai più quei cinquanta metri di distanza, quella distanza che si suol dire di sicurezza: permetterà loro di non sentire le sue fregnacce lamentose, i discorsi a cappella, le personalissime ricostruzioni della cattiva fede altrui, la difesa degli indifendibili e l'insopportabile e ineluttabile vittimismo degli intellettuali che dicono di sentirsi incompresi perché sono di Destra. Sono incompresi, e a ragione, per altri motivi che qui è bello tacere.

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