Chi non vive il mondo della scuola si astenga dalla lettura: so per certo che interpreterà male quello che qui si propone.
"Domande che pongo a tutti, e principalmente ai miei colleghi e amici insegnanti.
Come mai, se siamo consapevoli che la scuola è da anni sotto attacco e che soprattutto è sotto attacco la categoria degli insegnanti (al pari di quella dei giornalisti), da vent'anni abbiamo smesso di reagire e, se protestiamo, lo facciamo sempre e solo a titolo personale, contenti più di dare testimonianza che di produrre una reale azione di cambiamento, politico?
Forse perché non riusciamo a fidarci più uno dell'altro? o perché per primi non abbiamo fiducia nella categoria, ma solo nel singolo docente? o perché aspettiamo che il sindacato faccia qualcosa, e nel frattempo ci accontentiamo che ci fornisca un po' di servizio di consulenza per le pratiche amministrative? o anche perché in fondo in fondo non crediamo nella democrazia, ma nell'uomo forte, dirigente o ministro che sia, fino a quando non ci rompe troppo le scatole?
Tutte queste domande mi ronzano in testa, mentre penso alla scuola che avevo e a quella verso cui volevo andare, così diversa da questa attuale che corre in direzione opposta alla mia idea di libertà, di ragione e di cultura.
Se vi va, colleghi, parliamone".
Risposta:
" Caro Eugenio, accolgo l'invito a parlarne, sapendo benissimo di mettermi nelle grane.
Parlerò, apertis verbis, con il rischio di offendere molti.In primis, c'è un dato storicamente oggettivo: dopo un primo momento di investimento nella scuola pubblica, culminato nella scuola media unificata del 1962 e agli investimenti tra gli anni '60 e '70 nell'edilizia scolastica, la spinta verso l'istruzione come strumento di mobilità sociale si è spenta, complice, se non sicario, il liberismo che ha identificato nell'istruzione pubblica un pericolo, esattamente come nell'Ottocento la Destra Storica ha visto nell'istruzione elementare obbligatoria il pertugio per la diffusione del Socialismo tra il proletariato .
Per quasi quarant'anni in Italia, dopo gli anni Settanta, l'investimento nella scuola è stato visto come improduttivo o, nella migliore delle ipotesi, come refugium peccatorum di chi, laureato, non si era inserito, per motivi di varia natura, nel mondo produttivo o di donne che hanno visto nell'insegnamento la possibilità di conciliare capre e cavoli ossia lavoro e famiglia. Non gliene faccio una colpa perché le donne da sempre svolgono un doppio lavoro, uno dei quali da sempre non retribuito.
Non sto parlando male neppure di coloro che, uomini e donne senza distinzione, per scelta hanno investito energie e professionalità nel pubblico (sacrificando tra l'altro spesso la famiglia), ma di chi nel pubblico ha visto, ed è inutile negarlo, l'anello flessibile per le proprie convenienze personali.
Insomma, nel pubblico, hanno convissuto da sempre martiri e opportunisti.
La situazione non è cambiata di molto, se non nel fatto che il carico di lavoro è aumentato e gli aspetti burocratici hanno riempito quegli spazi di libertà fino a un tempo preservati: per i martiri, per l'aggiornamento personale e professionale e per svolgere al meglio il loro lavoro, per gli opportunisti per farsi serenamente i cazzi loro.
Questi tempi si stanno a mano a mano chiudendo. I martiri ne soffrono, perché per predisposizione personale, sono portati a svolgere bene il loro lavoro anche quando si impegnano in lavori inutili (e questo è un motivo di notevolissima frustrazione che comporta depressione e “Burn out”), per gli opportunisti non c'è alcun problema: li svolgono male (e perché condannarli se sono spesso inutili?), contando sul fatto che il controllo è pressocché nullo.
Ecco il motivo per cui ormai si fugge dall'insegnamento, in particolare se c'è un investimento personale nel proprio lavoro. Ecco i germi per una decadenza programmata: premiare chi non ha vocazione e deprimere chi ancora nel proprio lavoro crede.
Pensare a un comune sentire in simili occorrenze è illusorio. Come insegniamo ai nostri bimbi, parlando ndella schiavitù nel mondo antico, gli schiavi privilegiati non desiderano avere molto a che fare con gli schiavi che lavorano nelle miniere.
Divide e impera. Funziona sempre, ma poi arriva il 476 d.C".
Nessun commento:
Posta un commento