mercoledì 21 agosto 2019

Sull'uso del linguaggio verbale e non verbale di Conte e di Capitan Findus.


Non meraviglia il riconoscimento quasi unanime a Conte di aver onorato il Senato con un discorso degno di quell'Aula. Il discorso è stato bene articolato e ha messo in evidenza gli errori che hanno caratterizzato dal punto di vista istituzionale (non da quello del consenso) la politica di Salvini.
A favorire questa istintiva buona impressione, legata all'uso di un linguaggio finalmente alto e rivolto a un pubblico che questa volta non si è ritenuto incapace di apprezzare un discorso ricco di spunti e di riferimenti non banali, è stato per contrasto il comportamento non verbale e verbale di Capitan Findus: commentare con la mimica facciale e con la gestualità ogni parola del Presidente del Consiglio è stato un espediente infantile che non ha funzionato (e quando ha parlato Salvini sia Conte sia Di Maio hanno assunto inizialmente, per contrasto, una posizione innaturale: hanno abbassato il capo, in modo che non trasparisse nessun messaggio dal loro volto).
Purtroppo, Capitan Findus non ha potuto contare su alcun effetto cucciolo, anzi il sorriso ha assunto l'apparenza di quello sguaiato dell'allievo davanti al Preside che lo rimprovera: non sapendo che dire, non gli è rimasto come ultimo tentativo per allentare la tensione che smorzare, con il sorrisetto insulso, con la smorfia e con la gestualità semplice e direttiva rivolta verso i suoi perché non vociassero, il peso delle accuse che gli stavano piovendo addosso.
A peggiorare la situazione è stato poi l'intervento a sua difesa. Non essendoselo preparato prima (ed era evidente), Salvini ha seguito lo stesso schema di gran parte delle sue esternazioni: in incipit l'offesa verso gli interlocutori tutti ( “Io sono un uomo libero, mentre voi...”) e poi l'insistenza ossessiva sui soliti quattro slogan, validissimi nella piazza della casalinga di Voghera e di Canicattini Bagni, meno adatti, anche perché fuori tema, alla discussione in Senato, convocato a causa sua, e che aveva come oggetto il ghigliottinamento senza motivazione reale di un Governo, se non quella di andare alle elezioni per dragare il consenso montante verso il suo partito.
Insomma, il discorso di Conte ha brillato come una goccia di biacca su uno sfondo nero pece.
Conte, comunque, ha anche lui sbagliato, anche se si è visto meno.
Rivendicando ogni azione svolta con l'alleato, Conte non ha saputo spiegare il motivo per cui non abbia rotto prima con Salvini, sia prima della votazione del vergognoso Decreto Sicurezza bis che non aveva alcun carattere di urgenza, se non quella di dare visibilità all'argomento principe della politica leghista ossia il respingimento dei profughi, la criminilizzazione degli stessi e delle ONG che si prestano al loro salvataggio in mare, sia quando ha dovuto rispondere in aula sul Russiangate al posto del suo vice che non aveva neppure con lui vuotato il sacco.
Ecco, l'atteggiamento di Conte non è sempre stato dettato da questioni di ritrosia naturale e di lealtà, perché non esiste ordine superiore che giustifichi azioni che vadano o contro l'umanità o la verità delle cose.
A mio avviso, insopportabile, ma è questione di sensibilità, è l'insistenza sulla parola “amico” rivolta a Salvini (e ai Leghisti): se hai un amico che si è comportato in modo sleale e incosciente, lo avvisi per tempo e non aspetti di dirglielo quando tutto va a gambe all'aria, se non è un “amico”, allora è perfettamente inutile che invochi lealtà e correttezza e che lo chiami coram populo tale.
Per amor di battuta chiudo con una sintesi umoristica, visto che di politologi è piena l'Italia in questi frangenti.
Mentre il discorso di Salvini, epurato da ogni orpello, si può ridurre a questo schema di base: “Stronzo, perché non mi stai ad ascoltare?”, il discorso di Conte, diluito in dosi omeopatiche il linguaggio aulico e istituzionale, è suonato così: “Ehi, amico, non vedi quanto sei stronzo?”

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