Non meraviglia il riconoscimento quasi unanime a
Conte di aver onorato il Senato con un discorso degno di quell'Aula. Il discorso è stato bene articolato e ha messo in evidenza gli
errori che hanno caratterizzato dal punto di vista istituzionale (non
da quello del consenso) la politica di Salvini.
A favorire questa istintiva buona
impressione, legata all'uso di un linguaggio finalmente alto e rivolto a un pubblico che questa volta non si è
ritenuto incapace di apprezzare un discorso ricco di spunti e di
riferimenti non banali, è stato per contrasto il comportamento non
verbale e verbale di Capitan Findus: commentare con la mimica
facciale e con la gestualità ogni parola del Presidente del
Consiglio è stato un espediente infantile che non ha funzionato (e
quando ha parlato Salvini sia Conte sia Di Maio hanno assunto
inizialmente, per contrasto, una posizione innaturale: hanno
abbassato il capo, in modo che non trasparisse nessun messaggio dal
loro volto).
Purtroppo, Capitan Findus non ha potuto
contare su alcun effetto cucciolo, anzi il sorriso ha assunto
l'apparenza di quello sguaiato dell'allievo davanti al Preside che lo
rimprovera: non sapendo che dire, non gli è rimasto come ultimo
tentativo per allentare la tensione che smorzare, con il sorrisetto insulso, con la smorfia e con la gestualità semplice e direttiva rivolta verso i suoi
perché non vociassero, il peso delle accuse che gli stavano piovendo
addosso.
A peggiorare la situazione è stato poi
l'intervento a sua difesa. Non essendoselo preparato prima (ed era
evidente), Salvini ha seguito lo stesso schema di gran parte delle
sue esternazioni: in incipit l'offesa verso gli interlocutori tutti (
“Io sono un uomo libero, mentre voi...”) e poi l'insistenza ossessiva sui soliti quattro slogan, validissimi nella piazza
della casalinga di Voghera e di Canicattini Bagni, meno adatti, anche perché fuori tema, alla
discussione in Senato, convocato a causa sua, e che aveva come
oggetto il ghigliottinamento senza motivazione reale di un Governo, se
non quella di andare alle elezioni per dragare il consenso montante
verso il suo partito.
Insomma, il discorso di Conte ha
brillato come una goccia di biacca su uno sfondo nero pece.
Conte, comunque, ha anche lui
sbagliato, anche se si è visto meno.
Rivendicando ogni azione svolta con
l'alleato, Conte non ha saputo spiegare il motivo per cui non abbia rotto
prima con Salvini, sia prima della votazione del vergognoso Decreto Sicurezza bis che non aveva alcun carattere di urgenza, se non quella
di dare visibilità all'argomento principe della politica leghista
ossia il respingimento dei profughi, la criminilizzazione degli
stessi e delle ONG che si prestano al loro salvataggio in mare, sia
quando ha dovuto rispondere in aula sul Russiangate al posto del suo
vice che non aveva neppure con lui vuotato il sacco.
Ecco, l'atteggiamento di Conte non è
sempre stato dettato da questioni di ritrosia naturale e di lealtà, perché
non esiste ordine superiore che giustifichi azioni che vadano o
contro l'umanità o la verità delle cose.
A mio avviso, insopportabile, ma è
questione di sensibilità, è l'insistenza sulla parola “amico”
rivolta a Salvini (e ai Leghisti): se hai un amico che si è comportato
in modo sleale e incosciente, lo avvisi per tempo e non aspetti di
dirglielo quando tutto va a gambe all'aria, se non è un “amico”,
allora è perfettamente inutile che invochi lealtà e correttezza e che lo chiami coram populo tale.
Per amor di battuta chiudo con una
sintesi umoristica, visto che di politologi è piena l'Italia in questi frangenti.
Mentre il discorso di Salvini, epurato da ogni
orpello, si può ridurre a questo schema di base: “Stronzo, perché non mi stai
ad ascoltare?”, il discorso di Conte, diluito in dosi omeopatiche il linguaggio aulico e istituzionale, è suonato così: “Ehi,
amico, non vedi quanto sei stronzo?”
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