lunedì 24 febbraio 2020

Il Bel Paese ai tempi del Coronavirus attraverso l'occhio di Don Lisander. (Prima puntata)


Mi sono ripromesso di rileggere alcuni brani dei capitoli dei Promessi Sposi relativi alla peste e di commentarli. Non sono uno studioso del Manzoni (insegno alle Medie inferiori e la sopportazione degli allievi di quell'età alle raffinatezze manzoniane è scarsissima; le dosi manzoniane somministrate sono inevitabilmente omeopatiche, a dosi maggiori risulterebbero letali ai più), ma mi sembra opportuno oggi rileggere, in chiave ironica, nonostante i tempi cupi, i comportamenti dei personaggi di allora perché ritengo che possano insegnarci qualcosa ancor oggi. 
Mi scuso anticipatamente per gli errori in cui incorrerò, ma l'intento è ricreativo, mio e, spero, altrui. E scrivo coll'anulare della mano sinistra.


Il protofisico Lodovico Settala, chè, non solo aveva veduta quella peste, ma n'era stato uno de' più attivi e intrepidi, e, quantunque allor giovinissimo, de' più riputati curatori; e che ora, in gran sospetto di questa, stava all'erta e sull'informazioni, riferì, il 20 d'ottobre, nel tribunale della sanità, come, nella terra di Chiuso (l'ultima del territorio di Lecco, e confinante col bergamasco), era scoppiato indubitabilmente il contagio. Non fu per questo presa veruna risoluzione, come si ha dal Ragguaglio del Tadino. Ed ecco sopraggiungere avvisi somiglianti da Lecco e da Bellano. Il tribunale allora si risolvette e si contentò di spedire un commissario che, strada facendo, prendesse un medico a Como, e si portasse con lui a visitare i luoghi indicati. Tutt'e due, "o per ignoranza o per altro, si lasciorno persuadere da un vecchio et ignorante barbiero di Bellano, che quella sorte de mali non era Peste "; ma, in alcuni luoghi, effetto consueto dell'emanazioni autunnali delle paludi, e negli altri, effetto de' disagi e degli strapazzi sofferti, nel passaggio degli alemanni. Una tale assicurazione fu riportata al tribunale, il quale pare che ne mettesse il cuore in pace”.



Orbene, un medicone, di quelli con esperienza, ha subodorato qualcosa. Anzi, se il Manzoni scrive “indubitabilmente” vuol dire che il nostro protofisico ci aveva visto giusto. Ma perché mai credere agli esperti, prendendo da subito risoluzioni impopolari?
Non è meglio credere al primo barbiere che allora si occupava di bassa chirurgia e di estrazione dei denti?
Il commissario inviato ovviamente, accompagnato da un medico, crede alle parole del vil meccanico praticone. Il Manzoni non si spiega il loro comportamento: per ignoranza o per altro?
Eccovi il Don Lisander sibillino e mago del non detto.
E, dopo essersi bevuto un buon vinello col medico locale (nel testo non c'è questo quadretto, ma me li vedo davanti al calice: “Perché ficcarci nei guai? Se è ordinaria amministrazione, ci vediamo il prossimo fine settimana e andiamo in trattoria, eh?”), riportano il tutto al Tribunale della Sanità.
Già, perché, quando incombe un'emergenza, credere a una spiacevole verità quando c'è a disposizione un'ottima bugia confortante?

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