sabato 2 maggio 2020

Ritorniamo alle origini. Piccola notazione inutile sull'uso della lingua: blastare, asfaltare, distruggere.


Va di moda in Internet inviare un video o un botta e risposta su Facebook o Twitter in cui il personaggio X, magari momentaneamente in stato di grazia, ha la meglio dal punto di vista argomentativo sul personaggio Y.
Non sono un semiologo, per questo c'è Stefano Bartezzaghi che è più bravo di me, ma il concetto di “cotesto” e “contesto” dovrebbe aiutare a capire meglio la questione. Ciò che diciamo ha sempre relazione con quello che abbiamo detto prima (e che diremo dopo) e con la situazione linguistica in cui avviene la comunicazione.
Insomma, ciò che sta intorno, quando si estrapola un frammento di un discorso, è importante.
Per definire la vittoria (momentanea, ma folgorante) di chi estrapola un'espressione infelice e la fa a pezzettini si utilizzano oggi nella Rete questi termini: “blastare” (che hai i suoi addentellati nel linguaggio dei videogiochi), distruggere, “asfaltare” et similia.
Sono tutte espressioni che rimandano all'annichilimento dell'avversario e alla sua umiliazione.
E' anche, scusate il tono retrò, un richiamo alla forza muscolare, ai gonfiamenti di petto per nascondere la pancia o, per dirla tutta, al “manganello che rischiara ogni cervello”.
Perché non perdiate il contesto e il cotesto, farò riferimento esplicito alle due sciocchezze proferite da due parlamentari questa settimana e alle reazioni alle stesse: Renzi che fa parlare i morti di Bergamo e Brescia e la Meloni che , rivolgendosi all'aula, in un outing mica male, dice: “Se vi devo insegnare io la democrazia, siete messi male”.
Ecco, se mi avete seguito, forse avete capito quello che voglio dire.
Estrapolare un'espressione infelice e condannarla non è blastare, asfaltare e distruggere: è far notare una sciocchezza.
Non significa che ciò che è stato detto prima e quello che è stato detto dopo è melma. Né che chi ha proferito l'idiozia debba essere messo nell'umido, nella migliore delle ipotesi, nell'indifferenziata, nella peggiore.
I politici, però, lavorano con le parole e quindi dovrebbero stare più attenti.
Se sbagliano (e capita), c'è una via di uscita semplice semplice: dire “Ho fatto un errore”.
Prevale, però, in loro e  nei fedeli degli Uomini e delle Donne della Provvidenza, la tendenza a dire: “Avete capito male”, il che induce l'interlocutore che ha alzato il ditino a ricorrere all'immagine della ruspa, della falce messoria e di altri attrezzi livellatori.

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