domenica 15 dicembre 2019

Contro "Fortnite".


Io non sono complottista per natura, anzi diffido dei complottisimi in genere perché generano paura indistinta.
E, quando non si vede, il lupo fa più paura di quel che dovrebbe e tutti invocano i cacciatori per fare giustizia.
Però, un dubbio che prevede un supercomplotto ai danni dei giovani ce l'ho.
E' un dubbio da supervecchiaccio: i nuovi videogiochi fanno male e sono il piede di porco per far breccia sulle debolezze dei più giovani.
Non è la prevalenza della concezione bellica di molti videogiochi che circolano che mi disturba (anche se la banalizzazione del dolore altrui e della morte non è del tutto ininfluente nell'immaginario giovanile), né la tendenza alla devianza che spesso viene rappresentata: Umberto Eco nella sua lettera a Stefano ci insegna che giocare con le armi di un tempo, le pistole che facevano sì “Bang”, ma erano solo microesplosioni di microbombette di carta rese fascinose dal magico profumo del demonio che era lo zolfo, potrebbe essere solo uno sfogo del tutto innocuo, anzi terapeutico, per ridurre l'aggressività che giovani e vecchi controllano come possono: i primi sparando agli Indiani e i secondi, se va bene, con la razionalità.
No. No. Quel che preoccupa di più è l'attuale tendenza alla “vetrinizzazione” (v. Codeluppi) del giocatore che per assurgere alla popolarità deve pagare denaro reale per distinguersi dal popolo indistinto dei suoi avversari (che ovviamente compiono la stessa azione nella propria bolla).
E qui chi è più debole e più facilmente circuibile: il preadolescente per natura non è né carne né pesce e la “popolarità” è un catalizzatore che ha un fascino incredibile, poiché fornisce identità e alimenta l'autostima (piccina picciò).
Essere “popolari”, in qualsiasi modo, è un dogma, neppure tanto nuovo, della società consumista.
Ed è qui il veleno dei videogiochi odierni: per essere popolari non esiste etica che tenga. 
Nel mondo virtuale tutto si compra (con le carte di credito dei genitori): identità, immagine sociale e relazioni tra i pari.
Mi sembra ovvio dedurre che il giovinetto uscito dalla centrifuga virtuale pensi che nel mondo reale ci si comporti esattamente così: se hai soldi, ti compri le bitch, hai un ruolo nel mondo e sei un figo al cubo.
La mercificazione dei rapporti umani (e non solo del lavoro) è l'ultima frontiera del consumismo: per i guadagni del futuro è necessario cominciare a corrompere i potenziali compratori in tenera età. 
Sono un vecchiaccio e non gioco ai videogiochi da molti anni. Forse sono disinformato.
Sento nell'orecchio la reazione pavloviana dell' “Ehi, boomer!” dei resistenti alle mie parole, ma che mi suona sempre più il mantra dei tossici eroinomani delle stazioni dei tempi che furono (e che stanno ritornando alla grande): “ Dammi mille lire, che ti costa? Non ho soldi per tornare a casa!” 
Insomma, l'obiettivo è sempre lo stesso: il denaro come unico strumento per la felicità, la bugia come condimento della relazione con il mondo adulto (perché il coglione sei tu che non sai apprezzare i piaceri della devianza) e lo sballo continuo a ruota. 
Certo:"Fortnite" non è una droga, ma spappola lo stesso il cervello.

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