Piccola divagazione sulle capacità dell'insegnamento di costruire una cultura della pace. L'immagine che ho liberamente scaricato in qualche recesso di Internet è bellissima, ma, per quanto mi riguarda, anche fonte di tanta tristezza.
Eserciti ( armati? disarmati?) di educatori, di insegnanti e di pedagoghi di ogni risma e credo hanno ritenuto opportuno richiamare le nuove generazioni alla cultura della pace, magari contrapponendola agli orrori della guerra ( che qualche generazione fa ha vissuto in prima persona).
Nonostante questo immane e lodevole sforzo congiunto, la cultura della guerra è sempre vittoriosa e l'aforisma che invita l'apertura delle scuole per chiudere le porte delle carceri lettera morta.
Insomma, la maestra che richiama i due bambini che si sono sbertucciati cinque minuti prime e che li invita a "fare la pace" non ha nulla da compiacersi: cinque minuti dopo, i due, forse, se le daranno di santa ragione e si odieranno più di prima.
E non oso pensare quale sia, nei loro piccoli cervelli, il pensiero dominante sull'intervento correttorio della loro volonterosa educatrice...... arz
Corollario meno amaro e ironico a quanto scritto in precedenza.
All'asilo si sta bene e si imparan tante cose, la maestra ci vuol
bene....
( testo completo:
Addio mamma, papà addio
vado all’Asilo per tutto il dì.
Colletto bianco, cestello al fianco
minestra buona, gioia nel cuor.
Arrivederci a questa sera,
quel che imparo a voi dirò.
Arrivederci a questa sera,
quel che imparo a voi dirò.
All’Asilo si sta bene
e s’imparan tante cose,
la maestra ci vuol bene
è così che piace a noi!)
Francamente, ricordavo solo il ritornello della canzoncina...
Se proponessi oggi questo testo ai miei alunni, dopo due ore di
spiegazione ( sia chiaro dopo aver chiarito alcuni termini e
contestualizzato il brano), probabilmente, otterei questa
terrificante interpretazione:
" Un bambino sta partendo per un conflitto mondiale o comunque per
una lunga prigionia in un luogo lontano dove concedono il diritto
d'Asilo in una specie di CPT ( Centro di Permanenza Temporanea);
egli è triste di abbandonare mamma e papà, ma il dovere è dovere!
Il bambino è costretto a fare l'impiegato ( è un "colletto bianco")
, a mandare una lavatrice ( deve riempire il cestello), a preparare
una bibita calda maleodorante ("minestra") e a mostrare felicità
nonostante la sua evidente condizione di prigioniero. Gli è concesso
un colloquio al cellulare solo alla sera con i parenti e il piccolo
carcerato promette solo allora di denunciare i suoi aguzzini senza
alcuna reticenza.
Alla fine del testo, prima della telefonata serotina, si può
esprimere, però, solo con l'ausilio dell'ironia: i genitori dovranno
leggere tra le righe e ribaltare il significato di quello che dice
poiché a scuola si può solo parlare in codice..."
Sto scherzando ovviamente.
Io all'asilo stavo benissimo ( eccezion fatta per il vitto e
l'immancabile "riposino" che ai miei tempi si faceva
obbligatoriamente al banco con conseguenze facilmente immaginabili
sulla mia colonna vertebrale) e anche lì , come in altri avamposti educativi, ho imparato a fare solo
guerre di carta ( o al massimo di plastica), anche se intorno a me nel Mondo scoppiavano immancabilmente guerre vere ;-) arz
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