mercoledì 6 gennaio 2021

La pasta al gusto littorio sive le nostalgie del gas nervino.

 


A margine della discussione sulla pasta al gusto littorio.

More solito, dopo simili sortite dei pubblicitari o degli addetti al Marketing, il polverone social offusca il problema reale.

Nessuno pensa che gli ideatori della campagna pubblicitaria debbano essere appesi a testa in giù, ma mi meraviglia che molti si adontino perché qualcuno ha alzato il ditino e ha osato dire che non si fa.

E il “politically correct” questa volta non c'entra proprio una cippa.

La questione non è difficile: per qualcuno mangiare le “Abissine” o le conchiglie è la stessa cosa per altri no.

Purtroppo, tutto sta nella sensibilità (non nell'intelligenza) di chi recepisce il messaggio.

A molti che hanno memoria per ragioni familiari e sanno bene che cosa sia stata la Guerra d'Etiopia, il gusto littorio della pasta non va né su né giù: lo associano al gas nervino e a un colonialismo straccione, ma crudelissimo.

E la storia ha già spazzato via l'idea degli “Italiani brava gente” durante il Ventennio: siamo stati aguzzini e violentissimi, non solo da Italiani, ma innanzi tutto da Fascisti italiani. E la scelta improvvida degli addetti al marketing non è una questione che attiene all'ignoranza della storia. La storia si studia ancora (maluccio, d'accordo), solo che stanno scomparendo gli ultimi testimoni. Ed una cosa è ciò che ha colpito la tua storia familiare (tanto per fare un esempio personale: ho un nonno che è stato lavoratore forzato in Germania perché non aveva preso la tessera del fascio e suo fratello è stato ammazzato dai fascisti), un'altra cosa è studiare un periodo storico vissuto come lontano e che non ha più attinenza alcuna con la tua vita e con la tua memoria.

L'operazione di marketing serve a pescare nella platea dei nostalgici di un periodo storico o di cui non sanno una cippa, se non la vulgata degli sminuitori delle responsabilità, o che non suscita in loro alcuno sdegno, colpendo  quel ventre molle dell'opinione pubblica che Levi ha ben classificato come “zona grigia”.

Insomma, se chiami una pasta "abissina" a noi ricorderà l'utilizzo dei gas in Etiopia, facendoci venire il mal di pancia, ma ad altri evocherà la bella bambina con cui se l'è spassata senza mai sentirsi pedofilo Montanelli. E mi si scusi l'esempio crudissimo e poco al dente.

E della pasta Molisana si faranno grandi forchettate, lamentandosi dei nostri lai che non sono in grado di capire e che sono per loro del tutto incomprensibili. Partecipare alla loro mensa, però, ci è proprio impossibile.

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