Qualsiasi cosa si pensi della guerra in Ucraina e qualsiasi giudizio si dia all’iniziativa di Putin, non c’è nulla di più pericoloso che chiedere ad artisti, intellettuali, sportivi russi una presa di posizione e niente di più stupido di chiedere l’interruzione di corsi universitari su Dostoevskij o proporre l’abbattimento della sua statua.
Il nazionalismo è portatore, oltra che di tanti aspetti
deleteri, di una brutta malattia, quella che identifica lo Stato con la Nazione
e il Popolo.
Non c’è nazionalista che non abbia in bocca il secondo più
odioso pronome personale, il “noi” (il primo, come insegna Gadda, è l’“io”).
Quando un nazionalista dice “noi” vuole trasmettere il
messaggio che il popolo sia compatto, un monolite, mentre i popoli sono
notoriamente la composizione di frattaglie per niente compatte e unitarie,
perché un popolo che sia popolo (maturo e consapevole) sa che i plebisciti
funzionano nelle dittature, mentre nelle democrazie bisogna sempre tenere in
conto che qualcuno dissenta, si opponga e non si riconosca nella maggioranza. Eppur,
nella diversità, un popolo rimane popolo.
Pretendere di calpestare le individualità e richiedere l’autodafé
da parte dei russi all’estero è un’idiozia bella e buona. Già lo sappiamo che
molti in Russia non la pensano come Putin e chi la pensa come lui si sta
facendo facilmente guidare dal nazionalismo più becero: quello che vede in chi
dissente il “traditore della patria”, il rinnegato.
Se non vogliamo cadere nella trappola degli opposti
nazionalismi, lasciamo in pace ballerini, sportivi e artisti, lasciando che il
loro libero arbitrio li guidi nelle loro esternazioni o nei loro silenzi.
Gli atti di abiura sono stati richiesti solo dal Tribunale
dell’Inquisizione che non è stato un esempio brillante di rispetto delle altrui
opinioni.
Non cadiamo nel tranello dei nazionalismi l'un conro l'altro armati che si autoalimentano
quali specchi di barberia contrapposti, riflettendo un’immagine all’infinito,
fino all’inconsistenza.
(Ah, l’aspetto veramente divertente è che la destra becera
che si è scagliata veementemente conto il “politically correct” e la “cancel
culture”, nel nome della libertà di pensiero e di parola, se ne stia ora zitta
zitta o, al più, timidamente preoccupata).
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