La prenderò da lontano. Da molti anni
fotografi, semiologi, sociologi , psicologi etc...si sono occupati di
analizzare l'immagine fotografica, mettendo in evidenza che una foto,
che sembrerebbe ai più ingenuamente un modo di rappresentazione tra i più oggettivi della realtà, nasconde sempre una parte di soggettività
come capita per tutte le testimonianze oculari (e qui è naturale citare Marc Bloch che su questo tema è stato illuminante).
Una fotografia, per molti ma non per tutti è una banalità, è sempre una
rappresentazione parziale del mondo, anche solo per il fatto che non
lo può rappresentare nella sua interezza, ma solo in parte,
attraverso l'inquadratura.
Un esempio di come l'inquadratura possa
distorcere la nostra capacità di valutare la realtà è questo:
A seconda del taglio dell'immagine, otteniamo interpretazioni non solo diverse, ma opposte.
Ovviamente, ogni studioso o
semplicemente curioso del mondo dovrebbe prestare attenzione alle
manipolazioni delle immagini.
E' sempre bene chiedersi chi scatta la
fotografia, con quale intenzione comunicativa, se la realtà
rappresentata è colta nella sua naturalezza o è artefatta (si
impone, come spesso succede, al soggetto, ad esempio, di mettersi in posa) e
farsi altre mille domande.
Non voglio tediare nessuno e non vado oltre.
Vengo al
punto.
L'interpretazione critica è buona
cosa, ma l'eccesso di interpretazione o iperinterpretazione può
essere pericolosissimo.
Se di fronte alle immagini delle vittime di
un delitto, si mette in dubbio la morte del soggetto, perché (e
faccio solo un esempio) la posizione del corpo è anomala o il sangue
per terra si spande sul terreno in maniera innaturale, si eccede
nell'iperinterpretazione, quando altre testimonianze ci dicono che la
morte è avvenuta realmente.
Agisce con lo stesso meccanismo mentale
il negazionismo che si appella alla mancanza di tracce di Zyclon B
nelle camere a gas per negare l'olocausto, trascurando tonnellate di
documentazione che ha dimostrato che “quello è stato” e, per
arrivare più vicino a noi, le teorie antiallunaggio che
presuppongono la partecipazione di registi famosi per la messa in
scena di un inganno trompe l'oeil a livello mondiale.
Il rasoio di Occam dovrebbe essere
sempre affilato, altrimenti dobbiamo presupporre una realtà che è
solo finzione o al massimo ombra di realtà di cui ci sfugge con precisione il
contorno sensoriale.
Torniamo all'oggi.
C'è una fotografia di un uomo
sanguinante. C'è una macchia per terra che ha tutta la parvenza di
sangue. C'è un uomo alle sue spalle in piedi.
L'avvocato difensore del Carabiniere
accusato di violenza se non di tortura afferma,
sfidando il ridicolo, che l'uomo è caduto.
La logica ci dice: perché scattare una
fotografia? Per testimoniare una caduta? Non ha ovviamente senso. Mentre assume significato alla luce delle intercettazioni una foto che, a mo' di
trofeo di caccia grossa, testimonia la riuscita dell'impresa.
Non è il luogo per fare processi, ma il lettore critico usi il
rasoio di Occam, perché l'avvocato sta probabilmente utilizzando la solita tecnica del gaslighting ossia
quella tecnica manipolatoria che, a fronte di una realtà spiacevole, tende ad ingannare la fiducia di base di chi deve interpretare il
documento per sconvolgerne la memoria e il giudizio di realtà.
L'atto
manipolatorio del legale è lecito, sia chiaro, ma è vòlto solo a
instillare incertezza nell'opinione pubblica che non sempre ha
strumenti per difendersi; difficilmente ingannerà un giudice, ma non dovrebbe ingannare nemmeno chi non si accontenta ingenuamente della parola di chi
oggettivo non può esserlo di fatto, essendo per statuto un difensore di parte. De hoc satis.