giovedì 21 luglio 2022

Plebisiciti di parole. I sostenitori di Draghi e la retorica populista.

 I dittatori, tanto per lasciare una parvenza di democrazia, di tanto in tanto, si piegano ai plebisciti che in genere raccolgono il 95% dei consensi. Poiché siamo ancora fortunatamente in democrazia, non ci sarebbe bisogno di ricorrere a questi ridicoli barbatrucchi, ma il populismo che è l’anticamera di ogni svolta antidemocratica ha bisogno di plebisciti di parole.

Ci scandalizzavamo, e a ragione, quando Capitan Findus con il suo 17% parlava a nome di tutti gli italiani, ci scandalizziamo nello stesso modo ora che qualcun altro ne segua il pessimo esempio.

L’Italia, fino a prova contraria, non è aprioristicamente con Draghi, se non nel wishful thinking di chi ne è sostenitore e se non quando delle libere elezioni, garantendogli una maggioranza, lo sanciranno.

Inoltre, l'affermazione che il Parlamento va contro l'Italia è di notevole gravità, se non fosse stata affidata alle alucce di Twitter.

Un altro elemento anomalo dei tempi è la raccolta alle armi (ahi!) dei fedeli, secondo la solita logica che contrappone Guelfi e Ghibellini, tipica delle tifoserie calcistiche.

La levata di scudi delle categorie professionali o meglio dei loro vertici (compresi “gli eroi del Covid”) mi preoccupa assai e sancisce solo il grado di dipendenza che legano queste ultime al mondo politico, il che non fa loro onore.

Il populismo come il nazionalismo, insomma, come ben si vede,  non è malattia che colpisca solo una parte politica.

Quando qualcuno confonde la parte per il tutto, a mio modesto avviso, non fa solo cattiva retorica, ma pessima politica. Senza contare che, quando le vacche sono tutte grigie, la propensione al nero che notoriamente snellisce le noiose pratiche democratiche si alimenta e prende vigore.

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