sabato 1 giugno 2024

Sulla manipolazione delle parole e sul significato semantico dell'assenza (titolo spaventapasseri per tener lontano i corvacci).

 Trump, dopo la condanna, tuona: “Viviamo in uno Stato fascista!”. Meloni, a sorpresa alla prima impressione, colloca il delitto Matteotti tra le nefandezze del fascismo.

Attenti tutti a non gioire. Non è resipiscenza: è appropriazione indebita di un linguaggio che non è il loro per depotenziarlo e per non fare i conti della serva con sé stessi e con i propri amichetti.

Trump ha dalla sua l’estrema destra americana con le bandiere con la croce uncinata e il Ku Klux Klan, Giorgia ha tra i suoi sodali personaggi col busto del Duce e il manganello con inciso il “Boia chi molla!” o il “Me ne frego”.

L’uso estemporaneo dell’aggettivo “fascista” per loro, lo so, semplifico, equivale a dire “cattivoni”. Non ha spessore storico, ha solo un lievissimo spessore linguistico.

Così, quando i loro avversari puntualizzeranno e faranno i “professoroni”, come loro chiamano chiunque non la pensa come loro, se ne salteranno fuori  con la formuletta magica de “il fascismo degli antifascisti”, citando di volta in volta e a sproposito Pier Paolo Pasolini o Leonardo Sciascia.

Puntualizzo: il fascismo ha a che fare con Mussolini e con la dittatura.

Processare un politico non è di per sé un segnale di mancanza democratica di uno Stato. Anzi. Vuol dire che nessuno può permettersi di essere al di sopra delle leggi.

Dire che l’omicidio Matteotti è una schifezza fascista, senza citare il mandante ossia Benito Mussolini, è solo una parte della verità storica. Ah, e non andare alle commemorazioni per la strage di Piazza della Loggia dal punto di vista semantico dice molto di più. Senza spiccicar parola.

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