Trump, dopo la condanna, tuona: “Viviamo in uno Stato fascista!”. Meloni, a sorpresa alla prima impressione, colloca il delitto Matteotti tra le nefandezze del fascismo.
Attenti tutti a non gioire. Non è resipiscenza: è appropriazione
indebita di un linguaggio che non è il loro per depotenziarlo e per non fare i
conti della serva con sé stessi e con i propri amichetti.
Trump ha dalla sua l’estrema destra americana con le
bandiere con la croce uncinata e il Ku Klux Klan, Giorgia ha tra i suoi sodali
personaggi col busto del Duce e il manganello con inciso il “Boia chi molla!” o
il “Me ne frego”.
L’uso estemporaneo dell’aggettivo “fascista” per loro, lo so, semplifico, equivale a dire “cattivoni”. Non ha spessore storico, ha solo un lievissimo spessore linguistico.
Così, quando i loro avversari puntualizzeranno e faranno i “professoroni”,
come loro chiamano chiunque non la pensa come loro, se ne salteranno fuori con la formuletta magica de “il fascismo degli
antifascisti”, citando di volta in volta e a sproposito Pier Paolo Pasolini o Leonardo Sciascia.
Puntualizzo: il fascismo ha a che fare con Mussolini e con
la dittatura.
Processare un politico non è di per sé un segnale di
mancanza democratica di uno Stato. Anzi. Vuol dire che nessuno può permettersi
di essere al di sopra delle leggi.
Dire che l’omicidio Matteotti è una schifezza fascista, senza citare il mandante ossia Benito Mussolini, è solo una parte della verità storica. Ah, e non andare alle commemorazioni per la strage di Piazza della Loggia dal punto di vista semantico dice molto di più. Senza spiccicar parola.
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