Vedo molti miei giovani colleghi impegnati quest’anno allo
spasimo per passare il maledetto concorso che dovrebbe traghettarli all’agognato
ruolo.
Non c’è niente da fare: sono bravi, seri, eh!, ma,
purtroppo, anche un po’ disperati.
Le forche caudine a cui si stanno sottoponendo sono state e
sono non solo più umilianti, ma anche più costose, per gli stipendi sempre più
sottili, di quanto lo siano state per le generazioni precedenti.
Si dice, e ne sono convinto anch’io, che il lavoro di insegnante
sarà uno dei profili professionali più richiesti.
Va benissimo la selezione, d’accordo, ma il mio consiglio è
che si miri a quella “medietas” che è il successo di ogni organizzazione.
Vengano pure i super-insegnanti carismatici alla Galimberti
e si sbarri senza incertezze la via agli psicopatici e agli incompetenti
assoluti che possano far danni.
La scuola, però, ha bisogno di oneste persone, preparate, non
per forza dei geni; innanzi tutto, ha bisogno di docenti dotati di energia e
non spompati dalla burocrazia scolastica e dai percorsi ad ostacoli.
Insomma, un augurio da parte mia a coloro che ancora devono
sottoporsi a quesiti sempre più a prova di Bignami (“Mi parli dell’economia
della Rhodesia”, “Mi parli delle fasi della Guerra dei Trent’anni” et similia.
Ora googlate pure!) e sempre più lontani dal lavoro reale che, si sa, è un po’
da piromani: accendere fuochi.
A spegnere gli incendi ci pensano i pompieri della routine, della burocrazia, dei disastri della società dell'immagine e, ahimè, per quanto mi riguarda, degli anni che passano e che ti fanno scambiare Roma per Toma. Figuriamoci la Rhodesia con lo Zimbabwe!
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