mercoledì 31 marzo 2021

Pissi pissi bao bao: post vietato ai non addetti. La scuola e le figuracce retoriche.

 Io sto usando l'alata metafora del pilota d'aereo che, impegnato in un atterraggio, debba suonare, nel bel mezzo della tempesta, la fisarmonica per allietare i passeggeri. So di usare un'iperbole, ma un docente in DAD che sia impegnato a condividere documenti, correggere esercizi, bacchettare gli indisciplinati a distanza e allo stesso momento si debba dedicare (in presenza) ad allievi BES o NAI (ragazzini che non spiaccicano una parola in Italiano, per chi non fosse del mestiere), si trova esattamente nella stessa situazione.

Certo, non rischierà di ammazzare 300 persone, ma sicuramente non fornirà un buon servizio: ai suoi allievi (e, se è coscienzioso, il cruccio è grande) e anche ai suoi nervi (ma la solidarietà dell'universo mondo nei suoi confronti, da anni, è bassissima).
Fargliene una colpa, come spesso succede, non è da persone particolarmente acute. E questo è un eufemismo e una litòte, tanto per ripassare velocemente le figure retoriche.

sabato 20 marzo 2021

Sta arrivando la DAD line! ;-(

 Lo scrivo con la morte nel cuore. Dopo averci messo allo sbaraglio nel bel mezzo delle varie ondate dell'epidemia e dopo esserci convertiti, inutilmente evidentemente, in un amen a una didattica completamente diversa rispetto a quella usuale, dopo aver freezerato ogni relazione sociale ai giovani a cui è stato tolto tutto (sport, svago, sesso e rock and roll), non colgo nessun segno di comprensione da parte del mondo politico e sociale nei confronti dei docenti e dei ragazzi: i docenti sono i soliti fannulloni che si fanno tre mesi di ferie e dovrebbero essere pagati la metà e i ragazzi gli irresponsabili il cui desiderio di socialità può essere disconosciuto e colpevolizzato, poiché considerato illegittimo.

Di conseguenza, i ragazzi, le vere vittime designate, alla fin della fiera, della pandemia, dopo ovviamente a chi non ce l'ha fatta, si troveranno, dopo due anni di rallentamento didattico, con un pugno di mosche in mano: classi sovraffollate, docenti con l'umore sotto ai tacchi e con un'età media considerevole sulle spalle e, dulcis in fundo, potrebbero essere sottoposti a recuperi impossibili in aule con 38° gradi all'ombra.
Poiché di rivolte non se ne vede l'ombra, vedo all'orizzonte un lavoro immane per psicologi, psichiatri, psicanalisti e psicoterapeuti. E , oltre l'orizzonte, una massa di manodopera a basso livello di istruzione e con scarsa consapevolezza che non ci renderà più ricchi come credono molti beoti: perché gli schiavi, se lo ficchino bene in mente, lavorano male.
Auguri.

giovedì 18 marzo 2021

Non è solo questione di empatia: Draghi a Bergamo.

 

E’ necessaria una premessa: non ho seguito la manifestazione attentamente, ho visto solo pochi secondi sui telegiornali nazionali e le mie considerazioni nascono da impressioni. La sensazione che ho provato, però, non mi è piaciuta per niente. Draghi viene a Bergamo e celebra con parole degne il dramma della mia città. Non sono le parole che mi preoccupano, nonostante le accuse di mancanza di empatia che provengono dal Cyberspazio. 

L’empatia non si dà come il coraggio: o ce l’hai oppure è qualcosa di appiccicaticcio, ma non è colpa tua.

Il problema, e grande, invece, è il contesto comunicativo. Nessuno avrebbe auspicato una manifestazione allo Stadio: siamo in emergenza e gli assembramenti non sono consigliabili. 

Sul prato davanti al Papa Giovanni XXIII c’erano sì e no cento persone, ma tra queste c’erano delle autorità e delle mezze autorità. C’era Fontana, per esempio. 

Da quel che so  non sono stati invitati i parenti di chi è deceduto e che qualche motivo per non essere d’accordo su come è stata gestito il Covid-19 a Bergamo ce l’avrebbero.

Una piccola élite che non si confronta con il disagio di chi è stato veramente male. Il rischio maggiore non è il contagio: è la contestazione.

Loro fuori, Fontana dentro.

Mi fermo qui.

Intelligenti pauca.

domenica 14 marzo 2021

Fenomenologia semiumoristica e semisociologica della disposizione delle librerie durante le comunicazioni on line.

 

I libri. Sì, questo post parla di libri. Non di libri letti, ma di libri esposti. Orbene, ordunque: in questi tempi di comunicazione on line tramite Meet, Skype o Zoom, molti si pongono il problema di come fare entrare gli altri in casa propria. Ho appena cambiato abitazione e l’architetto che mi ha seguito, visto che avevo la mia libreria (o meglio le librerie) da piazzare in casa, a bruciapelo mi ha domandato: “Che idea vuoi che si faccia chi ti entra in casa, guardando il tuo salotto?” Specifico che ho abbattuto una parete dell’ingresso e chi entra dalla porta d’ingresso ora vede subito il salotto di casa. Nella mia ex casa in salotto non c’era un libro in una libreria: erano sparsi qua e là, more solito, come i capperi sulla pizza (Gadda). Avevo un corridoio lungo a disposizione (come nella mia nuova abitazione nel reparto notte) e avevo dislocato altre librerie nelle altre stanze senza pensarci troppo, riempite alla bell’e meglio, con libri in tripla e quadrupla fila. E la lotta greco-romana con mia moglie per lo smaltimento del superfluo e per la distribuzione equa degli spazi era continua. Il mio caro architetto (compagno di classe di mia moglie e come sua moglie anche lei architetto; ci ha dato anche lei un aiuto enorme di cui le sarò sempre grato) mi ha guardato sornione: “Non vorrai che vedano il televisore?”

Devo ammettere che non ci avevo mai pensato. O meglio: ho sì sempre evitato di lasciare le mutande ad asciugare sul calorifero in salotto, ma mai avrei pensato che qualcuno avesse un’idea diversa di me solo entrando nella mia casa.

 Illuso: tutti, compreso il sottoscritto, si fanno un’idea sommaria (e spesso sbagliata) di coloro con cui hanno a che fare, ovviamente quando la conoscenza è superficiale, osservando la loro casa. Così come i datori di lavoro hanno occhi per il vestito del candidato che si propone per un nuovo incarico.

E’ buccia, d’accordo, non polpa, ma pur da qualcosa dobbiamo partire.

Noto ora che in TV il 99% di coloro che si collegano con i TG in remoto hanno alle loro spalle enormi librerie. Come voi sapete i portatili, in quanto tali, possono essere spostati ed è facile che alle nostre spalle non ci sia una libreria: ci sarà una parete con un quadro, una finestra, un armadio.

No: il 99% di chi si espone alle telecamere ci tiene a far sapere che legge. E molto.

Poi, in verità, ci sono le varianti polarizzate: la variante berlusconiana che prevede libri ordinati e della stessa altezza, come negli uffici di avvocati e notai, intervallati da fotografie in cornice d’argento di parenti, amici o personaggi famosi, tipica di chi vuole infondere l’idea della pulizia e dell’ordine (anche quando è un pregiudicato) e la libreria “casual” con libri risposti in modo disordinato, dai tascabili ai libri d’arte, dai fumetti alla Treccani, spesso non disposti verticalmente e ordinatamente per collana e per dimensione, ma impilati orizzontalmente come codici medievali, simbolo del lettore onnisciente.

Per quanto mi riguarda ho deciso: in sala nessun libro, solo quadri e un televisore di pollice medio 😉. Le librerie nel corridoio, nelle secrete stanze. Nascoste. 

I miei ospiti si accorgeranno della mia cultura (presunta, perché mica li ho letti tutti!) solo quando mi chiederanno di andare alla toilette. E, quando si condivide il bagno, ci si conosce a sufficienza per non lasciarsi andare a facili giudizi.

venerdì 12 marzo 2021

Sotto il segno di AstraZeneca

 Perché non dire la verità? Il vaccino “AstraZeneca” è un vaccino di serie B. Una prova , senza ricorrere ad alcuna cognizione scientifica, è il fatto che il personale sanitario ha caragnato, e non poco, per farsi inoculare lo “Pfizer” che, guarda caso, è stato utilizzato per gli ultraottantenni e, tra breve, sarà utilizzato per chi ha gravi patologie ossia per le categorie più a rischio, mentre per categorie di serie B, ossia militari e insegnanti, qualche rischio si può correre.

Alt: non facciamo indebite inferenze.

Il fatto che sia di serie B non significa che non faccia il proprio dovere.

Ieri è stata montata ad arte (perché? Ci sono i trombettieri dello "Sputnik") la notizia che l'”AstraZeneca” sia diventato l'"AstraCazzola": ammazza, creando trombi a gogò, le povere vittime. 

Non ci vuole molto per capire che questo tipo di informazione allarmistica sia ancor più dannoso della verità che sopra si è svelata: convince gli scettici, i dipendenti emotivi dalle informazioni attinte da Internet, che il vaccino sia un rischio.

Ecco il dramma di oggi: la semplice verità che si debbano favorire alcune categorie per un calcolo basato sul rischio, ottantenni e persone fragili per patologie e la semplice constatazione condivisa da chi si occupa di queste cose che qualsiasi vaccino di per sé comporta una certa dose di rischio non si possono dire ed esplicitare (poiché cinicamente realistiche), mentre la rincorsa allo “scoop”, senza alcun freno e alcun argine, di giornali e giornaletti che mettono a rischio una campagna vaccinale la cui utilità è evidente a tutti ha libero sfogo e rischia di creare danni terribili e funesti.

Insomma, l'informazione in Italia che ha una grande responsabilità  morale non si pone da anni domande sul proprio ruolo: non solo sottovaluta il peso del proprio lavoro, ma ha anche una conoscenza deficitaria della deontologia sottesa alla propria professione. Informare significa fornire scomode verità, ma anche  non dare libero sfogo a facili allarmismi. Banale, vero?

domenica 7 marzo 2021

L' "inefficienza programmata". Un esempio: la Regione Lombardia.

 Si è tanto parlato di “obsolescenza pogrammata” ossia quel principio che fa sì che un oggetto, quando scade la garanzia, si deflagri nelle mani del consumatore, obbligandolo all'acquisto di un nuovo prodotto. Ma vogliamo parlare anche dell'inefficienza programmata? 

Partiamo dal concreto. 

Facciamo un esempio: il collega che ci impiega tre ore per scrivere un breve comunicato al computer o che non riesce a rampar fuori da qualche guaio informatico.

In realtà, e tu lo sai, con fatica e sofferenza, d'accordo, il tuo sodale riuscirebbe benissimo a cavarsela da solo, ma sai perfettemente come andrà, vero?

Ti guarderà con gli occhi di cerbiatto/a, sfrutterà l'effetto cucciolo che fa sì che alcuni mammiferi non si pappino la progenie di altre specie prima di una certa età, e con parole flautate ti convincerà con le seguenti parole: “Tu che sei così bravo in queste cose ci metterai un minuto”.

Così è successo in Lombardia: l'efficiente Lombardia è buona ultima nella campagna vaccinale. Poiché il senso di colpa non alberga nelle stanze del potere da un bel po', si darà colpa del ritardo allo Stato, alla Pfizer e alla congiunzione astrale tra Giove e Saturno. Poi quando i numeri della pandemia salgono e quando l'inefficienza diventa palese, si affida al privato quello che è pubblico, stornando more solito denaro pubblico per arricchire i soliti noti della sanità lombarda.

Formigoni, ricordiamocelo, non è morto.

Ed ecco spiegato il concetto di “inefficienza programmata”. 

Lo scopo finale è efficacemente raggiunto, ma il popolino con chi se la prenderà? 

Con lo Stato malvagio che ci obbliga a sottoporci al vaccino e allo stesso tempo ce lo sottrae perché in combutta con i poteri forti, con gli specializzandi che non vogliono prestarsi alla vaccinazione di massa perché pagati uno e una cicca, con i professori malvagi che si sottraggono al dovere e non vogliono andare a scuola, insomma con tutto lo sciocchezzaio che rende ogni ragionamento inutile perché la nebbia cimmeria riempie la testa di molti cervelli. 

Ovviamente l'"inefficienza programmata" di chi ha potere si appoggia, e da tempo, sulla "deficienza programmata" di molti elettori che, pur non sapendo mettere insieme una frase senza un errore di ortografia, si abbeverano ad ogni fonte internettiana per rimbesuirsi ancora di più. E per capire sempre meno quello che sta succedendo loro e per colpa anche loro. 

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