martedì 27 marzo 2012

Caramelle non ne voglio più...


Non c'è che dire: l'uomo forte del governo Monti è la Fornero! Pane al pane e vino al vino, sembrerebbe di primo acchito: linguaggio semplice e efficace.
La nostra Elsa indulge spesso, come è facile constatare, all'espressione colorita. Così la "gente" capisce.
Peccato che il linguaggio del Ministro ricordi tanto (troppo!) quello del governo precedente che parlava così un giorno sì e uno no ai minorenni minorati di Seconda media e mi si scusi la mancanza del "politically correct".
"Per distribuire caramelle bastavano i politici", dice.
Ecco che l'antipolitica ( quella che ha fatto fiorire la Lega degli albori, quella che fu il brodo di cultura di Forza Italia) rialza il capo: la politica è sporca, roba da pedofili che corrompono con dolciumi i minorenni minorati.
Il nostro Ministro vorrebbe condannare la politica del "panem et circenses", ma in realtà offende gli elettori e la loro intelligenza. Senza saperlo.
Come ho già scritto, le tossine del linguaggio del Ventennio berlusconiano sono ancora in circolo e fanno danni e non solo ai denti dei cittadini.
Per ulteriori notazioni sulle caramelle e i politici, rimando all'ottimo intervento di Alessandro Gilioli:
http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/03/26/politici-caramelle-e-democrazia/
arz©
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mercoledì 21 marzo 2012

Aforisma: articolo 18 e futuro del sistema capitalista.


" Gli industriali, quando si pongono come obiettivo principale l'espulsione dei lavoratori dal mondo del lavoro, invece di occuparsi del profitto, si comportano come i suicidi che si tormentano se scegliere, per rendere più prestigiosa la loro dipartita dal mondo, un cappio di canapa o di materiale più pregiato".
arz©
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Formigoni e il suo linguaggio ovvero come sdoganare la parola "pirla" e presentarsi come un uomo moderato.


Formigoni dà del “pirla” al consigliere dimissionario Stefano Zamponi. Quest'ultimo lo avevo accusato
( ingiustamente) di non avere mai lavorato. Come ha poi aggiunto a difesa della sua espressione “forte” , il Governatore cita due sentenze del Tribunale di Milano che affermano che, a Milano (... e l'insistenza di Formigoni sul fatto che l'espressione sia tipica del territorio è significativa), l'espressione “pirla” rivolta ad un insegnante o ad un automobilista non lede né l'onore né il prestigio della persona.
Non sono un giurista e non mi avventuro in campi che non conosco , ma è evidente che , surrettiziamente, si voglia introdurre un buffo federalismo (in la minore) della parolaccia.. Se dai del “pirla” a qualcuno A MILANO, ciò non costituisce reato, se lo fai a Madone, territorio orobico ai confini della Provincia di Milano, sei a rischio.
Se Formigoni avesse detto solamente , come ha ribadito in seconda battuta, che Stefano Zamponi è stato un bugiardo nel muovergli un'accusa ingiustificata, avrebbe avuto modo di dimostrarlo, come tra l'altro ha fatto in modo convincente.
Dandogli del “pirla”, Formigoni è ricaduto nel vizio/vezzo di utilizzare un'espressione che la Magistratura ha considerato, con qualche ragione, con indulgenza, ma che la buona creanza e un linguaggio politico meno corrivo alla parolaccia e all'offesa “ad personam” dovrebbe condannare. E Formigoni, scusate, ci tiene a presentarsi come un uomo del partito "moderato"
“Le style c'est l'homme” e, se qualche parola dal sen fuggita ha rivelato la vera natura dell'uomo, sta ai suoi elettori valutarla.
Per giudicare in modo non mediato rinvio a:
http://www.cadoinpiedi.it/2012/03/20/formigoni_spiega_perche_si_puo_dare_del_pirla_-_video.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+Voglioscendere+%28Cadoinpiedi%29

arz©
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venerdì 16 marzo 2012

Fotografia e immagine del potere: un falso amatoriale ( Casini, Bersani, Alfano e Monti).



La lettura delle immagini fotografiche non è il mio campo specifico, ma devo ammettere che la foto postata da Casini tramite Twitter mi ha molto colpito e mi costringe all'impresa.
 Lo scatto mi sembra denso di significati simbolici, forse troppi e sono consapevole che, quando si fanno simili esercizi, si rischia un eccesso di iperinterpretazione ( l'equivalente dell'ipercorrettismo nella lingua). Per esprimermi in modo meno criptico: si legge quello che si vuole leggere, sbagliando, spesso, e andando al di là delle intenzioni di chi ha creato l'opera.

 La foto è un po' sgranata e non è a fuoco: si vuol dare l'idea di un'opera amatoriale.
Non è, dunque, una fotografia ufficiale: è la foto che si fa tra amici, dopo una bella cena a base di Barolo e di bella ciccia. Anche la postura dei convitati non è classica, nonostante lo sfondo esprima raffinatezza e precisione ( vedi l'orologio...): da quella un po' ambigua di Casini , che appare in primo piano sorridente e  leggermente scomposto ( le bretelle visibili, la cravatta asimmetrica e la mano un po' troppo vicina alla patta dei pantaloni...) a quella di Bersani, troppo stravaccato sulla sedia, ma nella posizione del “pensatore” di Rodin ( e le carte appoggiate sulla sua gamba rafforzano questa sensazione di intellettuale metidabondo ).

La posizione più più tradizionale è quella di Alfano; gli altri sono sbracati perché glielo permette l'età, mentre al giovane leader conviene una posizione più tradizionale e convenzionale.

Colpisce Monti: l'unico in piedi e un po' rigido. Immaginatevi il suo braccio destro alzato con una guantiera di pasticcini. Qualcuno ha voluto vederci un avvoltoio. Io, ahimé, vedo in lui , almeno in questa fotografia, il cameriere...

Forse è proprio quello che si vuole esprimere: Monti il servitore di tre padroni;-)

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arz©

mercoledì 14 marzo 2012

"Paccata" ovvero la deriva del linguaggio politico e delle relazioni sindacali


Il ministro più attivo del governo Monti sembra essere una professoressa, la professoressa Fornero. Non ho alcun dubbio che sia una docente preparata . Ecco ora la professoressa utilizzare un linguaggio corrivo. Sappiamo che anche le signore e le professoresse talvolta usano qualche espressione forte, qualche parolaccia qua e là: serve per rafforzare l'”indignatio”, ma poi , in genere, da brave signore e docenti, rientarano nei ranghi, utilizzando un linguaggio più posato e rassicurante. Qualche volta si scusano: ragazzi, sapete, quando ci vuole, ci vuole ( o frasi consimili).
La docente ha usato disinvoltamente la parola “paccata”. Non è una parolaccia, ma fa parte di un linguaggio che rimanda ad altri mondi e ad altre relazioni.
Far dei sindacati degli estorsori che pretendono una “paccata” di miliardi per oliare le ruote trasforma le relazioni tra Governo e Sindacati in un mercimonio , in un “do ut des”eticamente poco trasparente e dove è evidente in filigrana una trattativa che rimanda più alle relazioni tra prostituta e cliente ( “Me la dai?” “Non me la dai?” “Metti una paccata di soldi e il no diventa sì”, semplifico per dare un'idea...) che al confronto di idee e posizioni.
La professoressa è riuscita con una semplice espressione dal sen fuggita ad infangare se stessa e il proprio interlocutore.
Purtroppo, ahinoi, le tossine del “criptoleghismo” linguistico stanno ancora agendo e pervadono ancora il linguaggio di una politica che dovrebbe imparare a comportarsi in modo più pacato e a essere meno incline ad una deriva espressiva ( ...ma i freni inibitori sono evidentemente saltati da tempo!), dove ognuno parla come gli pare, anche se riveste un ruolo istituzionale e di garanzia.
Cazzo! ( per segnalar la mia personalissima ”indignatio”!) Perché mai non tengono la bocca chiusa?
arz©
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lunedì 12 marzo 2012

Via Dante e Babelplatz : sulla pericolosità dei libri.


Ci sono notizie che lasciano veramente interdetti: sembra che un misterioso ente di ricerca “Gherush92” finanziato dall'ONU e di cui ignoravo fino ad oggi l'esistenza ( mea culpa!) abbia appurato che nell'opera di Dante vi sono reiterati ed espliciti riferimenti razzisti, antisemiti e islamofobi.
Be', non ci voleva nessun ente di ricerca per saperlo: basta leggere la “Divina Commedia” e chiunque abbia il ben dell'intelletto sa che il “politically correct” non è coltivato dal Poeta fiorentino. Ne sanno qualcosa i Pisani;-)
Le considerazioni di una rappresentante di “Gherush92”, Valentina Sereni, sono queste: “Non invochiamo né censure né roghi, ma vorremmo che si riconoscesse, in maniera chiara e senza ambiguità che nella Commedia vi sono contenuti razzisti, islamofobici e antisemiti. L'arte non può essere al di sopra di qualsiasi giudizio critico. L'arte è fatta di forma e di contenuto e anche ammettendo che nella Commedia esistano diversi livelli di interpretazione, simbolico, metaforico, iconografico, estetico, ciò non autorizza a rimuovere il significato testuale dell'opera, il cui contenuto denigratorio è evidente e contribuisce, oggi come ieri, a diffondere false accuse costate nei secoli milioni e milioni di morti. Persecuzioni, discriminazioni, espulsioni, roghi hanno subito da parte dei cristiani ebrei, omosessuali, mori, popoli infedeli, eretici e pagani, gli stessi che Dante colloca nei gironi dell'inferno e del purgatorio. Questo è razzismo che letture simboliche, metaforiche ed estetiche dell'opera, evidentemente, non rimuovono».
Bene benissimo, ma forse sfugge alla studiosa che ogni opera storicamente collocata ci aiuta ad essere meno antisemiti, islamofobi e razzisti e che proprio l'ignoranza della storia e dei contesti socio-culturali in cui si sono sviluppati questi fenomeni è il vero nemico da combattere.
Dire che l'arte è al di sopra di qualsiasi giudizio critico vale anche per l'arte antica e medievale, d'accordo, ma è la contestualizzazione degli avvenimenti che ci permette di cogliere il baco che rode dall'interno la polpa della mela e di stecchirlo con l'arma affilatissima della conoscenza.
Mi si perdoni la notazione sgradevole, ma , pur capendo le ragioni di chi si sente offeso da certe rappresentazioni nell'arte, vedo sullo sfondo la Babelplatz di Berlino. Non pavento il rogo nazista dei libri, d'accordo, ma quel "quid" che il memoriale di Micha Ullman, che lo ricorda, aggiunge: da un vetro si possono ammirare in un lucore ospedaliero i ripiani bianchissimi di un'enorme scaffalatura. Completamente vuota non solo di libri ( forse di di tutto...) L'occhio di chi osserva li cerca, ma non li trova.
La “damnatio memoriae” , e l'espulsione della “Divina Commedia” dalle scuole che ne è una versione più raffinata, non brucia i libri, li relega in un angolo lontano dalla nostra visuale, ampliando il vuoto della nostra coscienza. 
Penso, inoltre, ma forse oso troppo!, che persino i Pisani, pur se oggetto dei suoi reiterati e velenosi attacchi, amino Dante, sangue del loro sangue e fiele della loro fiele ;-)
arz©
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sabato 10 marzo 2012

Molto alterati.

Non c'è bisogno di un esperto di Storia della Lingua per notarlo: l'alterato ripetuto nei titoli de “Il giornale” non è un caso. A mio avviso, come ho già scritto, nasconde la profonda aggressività che pervade il dibattito politico in Italia, commista all'abitudine di avvelenare i pozzi del dibattito democratico con continui attacchi “ad personam”
L'alterato dimuinutivo e vezzeggiativo vorrebbe attenuare (“Su, dai, sto scherzando...”), ma, come ho già scritto, a proposito del “pecorella” ( d'opposto segno politico) del manifestante no-TAV, il vezzeggiativo in questi casi non “vezzeggia”, né il diminutivo “diminuisce”: semplicemente altera e , guarda caso, sempre in senso peggiorativo ( non è un'anomalia nella lingua italiana, è una prassi codificata nell'uso dell'alterato) .
Che sia usata sistematicamente, però, è una “spia linguistica” del profondo desiderio di provocazione che anima vasti settori della nostra società.
Sembra che ci sia una nostalgia per le botte reali: per ora ( fortunatamente) ci si esercita con quelle verbali (... ma il passaggio dalla parola all'atto è un attimo).
Giocare col fuoco, in qualsiasi caso, non è consigliabile, perché poi il gioco si trasforma in quello (esteticamente, socialmente meno piacevole) di alterare i connotati altrui....
arz©



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giovedì 8 marzo 2012

Metafore impazzite e turbocapitalismo muscolare alla Fornero





Il piacere della metafora ha sempre affascinato tutti: poeti, scrittori e artisti. Non è patrimonio solo della cultura alta: la metafora domina anche il linguaggio comune e gli dà sale.
Purtroppo, la metafora sfugge di mano facilmente. In molti modi. O è interpretata alla lettera dal nostro interlocutore, lasciandolo con il mascellone lasso e la lingua penzolante o non è una metafora vera e propria, pur avendone le sembianze, e lascia interdetto chi ascolta. Oppure è una metafora DOC, ma “impazzita”: se esplicitata o trasformata in similitudine, versione domata della scalpitante metafora, rischia di essere imbarazzante.
E' il caso dell'ultima uscita della Fornero: "Con un reddito garantito, gli italiani si siederebbero e mangerebbero pastasciutta". Metafora esplicitata e volgarizzata: “Gli Italiani, non appena hanno il culo al caldo, mica hanno voglia di lavorare : cazzeggiano”.
Ditemi se non suona come una delle tante sparate leghiste. L'unica raffinatezza è la sostituzione di terroni con italiani, ma al Nord, datemi retta, quando “Italiano” si usa genericamente e con qualche sfumatura negativa,  significa “Terrone”.
Anche perché, nello specifico, si evoca la pastasciutta, non la polenta o il baccalà. Et voilà: la professoressa Fornero bosseggia, calderoneggia, maroneggia .
Ricordiamoci, inoltre, che , sempre che la frase riportata sia fedele all'originale, tale sciocchezza le è uscita davanti a delle precarie, il cui reddito, se c'è, non è gentile comparare a quello della docente di prestigio.
Insomma, la docente è docente, d'accordo, ma in questa occasione non è stata per niente signora...
arz©
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mercoledì 7 marzo 2012

Sulla morte del vocativo

Ne ho già parlato in altro luogo, ma a me sembra che il vocativo sia destinato a morire. Qualcuno dirà che in realtà sia la punteggiatura ad agonizzare e sarebbe più facile dimostrarlo.
A costo di peccar di "agudeza", penso di aver ragione. Il vocativo è uno stimolo all'attenzione altrui e l'"Ehi, sto parlando con te, perché ho qualcosa da dirti!", il vocativo è una sollecitazione al dialogo e all'ascolto.
In tempo di narcisismo imperante, non è poi così importante che l'altro ascolti: l'obiettivo è che io parli.
Exemplum non fictum: mi è capitato più di una volta di notare ( e il campo di indagine è transgenerazionale), anche in contesti, come dire?, "colti", che , in un contesto formale, quando qualcuno si presenta come "esperto" in qualche campo dello scibile ( Letteratura, Arte, Scienza etc...) , ci sia sempre chi, tra il pubblico, alla fine dell' intervento specialistico, nel momento in cui si apre lo spazio del "dibattito", dopo essere intervenuto, anche con proprietà di linguaggio e con qualche questioncella di un certo interesse, e proprio un secondo dopo aver posto la domanda, rivolge lo sguardo altrove come se la risposta  non lo riguardasse (...e qui la mia insistenza sul termine che rimanda alla vista non è un caso, poiché evitare lo sguardo, in simili circostanze, rasenta la peggiore maleducazione).
Per utilizzare un'immagine suggestiva il signorino di turno è il pavone che , dopo aver aperto la coda, la usa per obliarsi, vergognandosi per la sua medesma bellezza, e , nella migliore delle ipotesi, si inebria per l'iridescenza delle sue piume, nella peggiore della rotondità del proprio culo (... mi si scusi la franchezza, ma i narcisisti mi stanno proprio sullo stomaco).
Non me ne voglia Vasco Rossi (... l' errore è probabilmente imputabile al fiorista) se allego la seguente immagine a corredo di quanto ho qui scritto ( ho rimandato di qualche giorno la pubblicazione di questa mia riflessione per rispetto nei confronti di chi, ahinoi, ci ha lasciato).

                                                                                                                                                 arz©

Noie: Il tappo della bottiglietta


“Apri!” mi dice e non aggiunge altro. Sa che la risposta è automatica, pavloviana. L'apertura della bottiglietta d'acqua è compito mio come l'accompagnamento nelle catacombe condominiali della pattumiera. Non si sa quando tra moglie e marito si instaurino simili patti, ma è come se fossero sempre esistiti.
La bottiglietta è nelle mie mani, fredda e umida da frigor.
Ovviamente ora sono un Supereroe che deve dimostrare i suoi superpoteri: l'apertura della bottiglietta è il rito di iniziazione della mascolinità, dove forza e possanza si manifestano ialine. Prova ne è lo sguardo beota, postcoitale del vincitore nella suprema lotta contro il tappo zigrinato, quando va bene. Ma questa volta bene non va.
La mano scivola sul tappo e la torsione macha non sufficit. Resiste, il bastardo! E la mano ritenta il passaggio sulla superficie ruvida, quella che dovrebbe aiutare e che ora sembra solo ostacolare, opponendo resistenza e abradendo minuscole scaglie di epidermide della mia mano.
Mia moglie guarda fiduciosa. “Non si apre?”. Le parole sono superflue, è ovvio che non si apre, ma la sua constatazione interrogativa mi garantisce un secondo tempo, una seconda possibilità.
Adesso la questione diventa seria, come dire?, politica : quel tappo non può averla vinta!
Prima ci vuole una preparazione: eliminare l'umidità diventa prioritario.
Prendo il canovaccio-asciugamano-mappina e asciugo meticolosamente non solo il collo della bottiglietta, ma tutta la bottiglia. Non si sa mai. Ritorco le residue forze sul tappo aiutandomi con lo strofinaccio, il nome che ora più si addice al cencio culinario, tendendo muscoli, tendini e elastici vari del corpo, che, dopo un tempo X in cui l'energia si trasforma in sudore e calore, si rilasciano molli, lasciandomi come una marionetta dopo lo spettacolo, inerte, morto.
“Ne prendo un'altra” dichiaro sconfitto.
Il tappo ha vinto : è solidificato nel mondo di plastica creato per lui.
                                                                                                                                            arz©
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domenica 4 marzo 2012

Cretinetti bis

Il nome Cretinetti è quello di un personaggio interpretato da André Deed. L'accezione data da "Il giornale" fa , penso, riferimento al "tipo" creato dall'attore francese il cui nome è, comunque, derivato dall'alterato di "cretino" ( ...e l'etimologia di quest'ultima parola sembra che sia una ben strana metamorfosi del termine "cristiano"). Deed lavorò in Italia per parecchi anni; fu un uomo che, dunque,visse tra Italia e Francia. Ma guarda un po' il caso!;-) ©arz

venerdì 2 marzo 2012

Alterati in agguato: pecorelle e cretinetti



Tanto per specificare meglio il concetto espresso nel post precedente: usare un vezzeggiativo non vuol dire sminuire il senso di ciò che si sta dicendo. Se do del "cretinetti" ( o della "pecorella") al mio prossimo non sto esercitando una forma di "criptoironia": sto solo aggiungendo sale alla ferita.
Chi pensa, esprimendosi così, di tirare il sasso e di ritirare la mano sta prendendo un grosso abbaglio; si comporta come il bambino che, con le mani nella marmellata e nella pania delle conseguenze di ciò che ha combinato, dice: "Non l'ho fatto apposta".  ( Questa considerazione sull'infantilismo del mondo adulto è una suggestione che mi viene dalla presentazione di Giorgio Vasta del suo libro "Spaesamento").
Insomma, è una forma di comunicazione che si addice o a una pecora con le zanne o a un lupo con il vello sulle spalle.
Usare gli alterati altera solo un po' la parola, ma , in particolare, noi, e molto!, e il nostro prossimo ( che generalmente si incazza...)
©arz 
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giovedì 1 marzo 2012

"Pecorella" e la violenza.

immagine tratta da: http://misesti.blogspot.com/2010/02/pecora-e-lupo.html



Non sarò l'unico ( ultimamente mi riscopro sempre meno originale...) e il riferimento verrà spontaneo
(direi persino banale) a molti, ma il "pecorella" rivolto al poliziotto ha fatto automaticamente riemergere nei miei scarsissimi ricordi  la poesia di Pasolini dedicata alla "Battaglia di Villa Giulia".

"Pecorella" è un vezzeggiativo: non si direbbe appartenere al linguaggio della violenza. Eppure lo è: ed è feroce perché rivolto a chi per professione un po' al culto della forza ci crede.

Insomma, per usare un linguaggio di altre epoche, il giovane barbuto si è comportato come quello che un tempo si sarebbe detto un "provocatore fascista".
Non ha ascoltato ( e probabilmente non ha avuto l'opportunità di leggerlo) il mite consiglio di Pasolini ; inoltre, temo che , pur professandosi di sinistra e/o anarchico, oggi come allora gli darebbe pure del finocchio, uno senza palle.
Mi duole rammentare, inoltre, che la frase "Meglio un giorno da leone che cento da pecora" è un proverbio di cui si impossessò il Mascellone d'orbace vestito.

©arz 

"A Valle Giulia, ieri
 si è così avuto un frammento
di lotta di classe: e voi amici
(benché dalla parte della ragione)
eravate i ricchi. Mentre i poliziotti (che erano dalla parte
del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque, la vostra!
In questi casi ai poliziotti
si danno i fiori, amici".
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