“Apri!” mi dice e non aggiunge
altro. Sa che la risposta è automatica, pavloviana. L'apertura della
bottiglietta d'acqua è compito mio come l'accompagnamento nelle
catacombe condominiali della pattumiera. Non si sa quando tra moglie
e marito si instaurino simili patti, ma è come se fossero sempre
esistiti.
La bottiglietta è nelle mie mani,
fredda e umida da frigor.
Ovviamente ora sono un Supereroe che
deve dimostrare i suoi superpoteri: l'apertura della bottiglietta è
il rito di iniziazione della mascolinità, dove forza e possanza si
manifestano ialine. Prova ne è lo sguardo beota, postcoitale del
vincitore nella suprema lotta contro il tappo zigrinato, quando va
bene. Ma questa volta bene non va.
La mano scivola sul tappo e la torsione
macha non sufficit. Resiste, il bastardo! E la mano ritenta il
passaggio sulla superficie ruvida, quella che dovrebbe aiutare e che
ora sembra solo ostacolare, opponendo resistenza e abradendo
minuscole scaglie di epidermide della mia mano.
Mia moglie guarda fiduciosa. “Non si
apre?”. Le parole sono superflue, è ovvio che non si apre, ma la
sua constatazione interrogativa mi garantisce un secondo tempo, una seconda
possibilità.
Adesso la questione diventa seria, come
dire?, politica : quel tappo non può averla vinta!
Prima ci vuole una preparazione:
eliminare l'umidità diventa prioritario.
Prendo il
canovaccio-asciugamano-mappina e asciugo meticolosamente non solo il
collo della bottiglietta, ma tutta la bottiglia. Non si sa mai.
Ritorco le residue forze sul tappo aiutandomi con lo strofinaccio, il
nome che ora più si addice al cencio culinario, tendendo muscoli,
tendini e elastici vari del corpo, che, dopo un tempo X in cui
l'energia si trasforma in sudore e calore, si rilasciano molli,
lasciandomi come una marionetta dopo lo spettacolo, inerte, morto.
“Ne prendo un'altra” dichiaro
sconfitto.
Il tappo ha vinto : è solidificato nel
mondo di plastica creato per lui.
arz©
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