venerdì 2 novembre 2018

Auschwitzland e "Humor nero". Del diritto di Satira.


Breve e mesta notazione: non tutti hanno lo stesso rapporto con la morte.
Nel piccolo mondo dei disegnatori il dibattito è stato aspro in questi anni: a fronte di episodi tragici (terremoti, stragi anche di disegnatori, cadute di ponti, morte di personaggi controversi et similia) la Satira non si è tirata indietro. “Humor nero”, si difendono coloro che si sono cimentati; più frequentemente si appellano al diritto di satira, che, dicono, non dovrebbe avere vincoli, dovrebbe essere “assoluto”, non temendo nessun tabu (Religione, Morte e Sesso).
Ed è facile che chi è del mestiere, a fronte di una vignetta che è spesso in bilico tra un diritto legittimo e il cattivo gusto (ridere dei morti viola l'antica prescrizione del “parce sepulto”) si risenta assai se i colleghi alzano il sopracciglio: conosceva i rischi dell'impresa, ma soppesando costi e ricavi aveva pensato che il profitto fosse evidente e la perplessità di chi dovrebbe apprezzarlo lo amareggia. Si può ben immaginare la reazione se la critica poi viene da chi di satira non si occupa!
Il terreno del riso ;-) come quello del pianto attinge all'humus comune della nostra umanità; i terreni del riso e del pianto sono vicini, ma lo steccato è assai basso e, oplà, ti trovi facilmente dall'altra parte (e la staccionata che separa la vita e la morte, lo sapete tutti, è ancor più eterea).
Perché questo lungo sproloquio neanche troppo divertente?
Pochi giorni fa una ragazzotta si è presentata con la maglietta “Auschwitzland” e si è difesa con lo scudo di cartone del diritto di poter fare “humor nero”.
Ecco chi fa Satira gioca con la morte perché sa che sta parlando di sé, oltre che degli altri, perché sa che la sorte comune della morte è uno dei collanti dell'umanità. Se si ride della morte, lo si fa per non piangere. Ed è perfettamente umano che si rida o si pianga insieme.
Il riso sguaiato della ragazzotta diceva altro: diceva che la morte degli altri non era poi così importante e che non la riguardava.
"Loro sono morti ad Auschwitz, e ben gli sta, perché non ho nulla a che spartire con loro, neanche il minimo comun denominatore dell'umanità, e io, vivissima, col sorriso in bocca e col braccio teso, sono a Predappio a bermi in allegria una bella birretta con i camerati".

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