A quasi un mesetto dai fattacci di
Firenze, il Ministro degli Interni, che è spesso così pronto a
giudicare, quando gli fa comodo, senza che i tre gradi di giudizio
abbiano stabilito la verità (ma si parla sempre di giustizia umana,
eh!), fa finta di niente: fischietta, si lima le unghie, si mangia
qualche zeppola per la festa del papà.
Come avevo previsto, non si espone
perché si trova ad un bivio: o giustifica, come spesso ha fatto (v.
caso Cucchi) incondizionatamente e preventivamente ogni operato della Polizia, anche
quando quest'ultima ha combinato qualche guaio, o, appoggiando la tesi degli
atalantini che si sia trattato di una vera e propria aggressione a
freddo da parte degli agenti, deve venire meno all'idea ingenua, ma
di forte presa comunicativa, che le istituzioni, specialmente quelle
che lui dovrebbe controllare, abbiano sempre ragione.
Per ora si è fermato prima del bivio.
Confida, e molto, sulla memoria da pesce rosso del popolo italiano, ma
temo che i suoi amici (ex?) atalantini, a cui ha accarezzato spesso
il pelo, non dimenticheranno così facilmente.
E, infatti, il 22 marzo
hanno depositato un esposto per sollecitare le indagini e per rinverdir il ricordo dei violacei segni del manganel che rischiara ogni cervel (scusate la licenza poetica).
Il compito di Capitan Findus,
nell'esercizio delle sue funzioni, dovrebbe essere quello di
stabilire la verità dei fatti e lasciare ai giudici la condanna. Lasciare che il tempo sbiadisca il
ricordo perché decidere è rischioso non è da lui.
E' un capitano, perdinci! Avanti,
Savoia!
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