Ecco un altro capitoletto:
Lacoonte tra i capelli
Chi porta gli occhiali lo sa. Ogni
tanto bisogna spostarli dal naso e inforcarli sulla capoccia: le donne per mettersi il Rimmel, gli
uomini per schiacciarsi i brufoli davanti a uno specchio.
La casistica è amplissima: dal bacio
al pianto, dal tergersi il sudore a leggere uno scritto piccino
picciò che le lenti da miope rendono un geroglifico indecifrabile
che solo l'occhio nudo e privo di protesi può tentare di
interpretare.
Sta di fatto che, quando non ci sia un
piano d'appoggio sicuro, il quieto porto delle nostre costosissime
lenti è l'apice del cranio e l'azione più spontanea è quella di
portare gli occhiali allo zenit della calotta cranica, mantenendo le
stanghette ben strette alle orecchie: l'equilibrio, sia chiaro, è
instabile e l'occhiale ha una forte tendenza ad assecondare la forza
di gravità o ricadendo avanti o, molto più pericolosamente, alle
spalle dell'occhialuto con conseguenze in genere catastrofiche.
Questo, però, rientra nella casistica
dell'esistenza. Chi porta gli occhiali “sa” che sta rischiando
nel portare a termine questa operazione, “sa” che sta giocando
una mano pericolosa nella partita truccata con l'esistenza.
Quello che non può prevedere, e che
rivela la perfida volontà degli oggetti, è l'incidente che si
verificherà quando vorrà riportare gli occhiali nella loro sede
naturale.
Ecco, immancabilmente, una piccola
ciocca di capelli si attorciglierà qual boa constrictor tra ponte e
nasello, lasciando il malcapitato, piccolo Lacoonte tra le spire del serpente, in una situazione veramente
imbarazzante.
Vano sarà il tentativo di districare
il nodo gordiano con la forza; tirare anche impercettibilmente la
ciocca comporterà ( misteri della fisiologia umana!) sul viso un
rictus, un sorriso forzato dal dolore. Mollare l'occhiale non si può
( “E se si districa da solo che fine faranno le mie lenti
progressive che mi sono costate due occhi della testa?”), tirare
con la forza bruta neanche, perché il dolore sarà insopportabile. Dopo
un breve lasso di tempo, le dita tenteranno la superficie degli
occhiali e con tecniche di scioglimento che metteranno alla prova la
manualità fine della vittima, alternando microstrappi e piccole
pause per riprendere fiato, alla fine, accompagnato dal sospiro di
chi è scampato al disastro, nelle sue mani rimarranno gli occhiali con
due, tre capelli strappati, la parte di lui che ha sacrificato
per ritornare nel mondo dei vedenti.
Nella Mitologia la Fortuna è
rappresentata con una ciocca di capelli, ma calva sulla nuca.
Ho il vago sospetto che portasse
occhiali di un certo spessore (la Fortuna è cieca, ma la Sfiga,
nostra fastidiosa compagna nel breve viaggio che ci tocca, ci vede
benissimo , come ha scritto qualche saggio, e , nel contempo, mi
consta abbia una chioma foltissima).
Per chi poi voglia vederci una metafora un po' tirata dei tempi nostri: per asciugarci le lacrime di un ventennio di corruttela, ci siamo ficcati sulla capoccia, per vederci meglio, un Governo tecnico. Ora non si schioda più perché levarlo da lì farebbe assai male...
Per chi poi voglia vederci una metafora un po' tirata dei tempi nostri: per asciugarci le lacrime di un ventennio di corruttela, ci siamo ficcati sulla capoccia, per vederci meglio, un Governo tecnico. Ora non si schioda più perché levarlo da lì farebbe assai male...
arz©
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