lunedì 27 agosto 2018

(Non iscrivetevi a Lettere! E' pericoloso!) Favoletta estiva: La rana vanitosa.


Un tempo viveva in uno stagno una rana. Si annoiava a morte, perché nessuno voleva avere a che fare con lei. Questa rana, infatti, era molto vanitosa, altezzosa (si sentiva superiore a tutte le altre regine dello stagno) e usava spesso il pronome “IO”. Sì, in maiuscolo, perché nella sua prosodica, quando lo usava, il pronome di prima persona singolare si alzava di tre tonalità rispetto alle altre parole.
E le sue compagnucce, com'è logico, si annoiavano a morte. “IO qui! IO là!”, tutto il giorno.
Per sovrammercato la rana vanitosa presentava ogni sua impresa banalissima come un'azione straordinaria: aveva mangiato una mosca? Diceva alle sue compagne: “Uh, che avventura! Un mostro con cento occhi si è avvicinato e IO l'ho sconfitto! Sol IO! IO ne ho fatto un sol boccone! No, in realtà, era talmente grande che IO ne ho fatti mille di bocconi!”.
Le povere rane che stavano ad ascoltarla si guardavano perplesse e poi se ne andavano gracidando: “ Che gra! Che gra! Che gra! Che gra...nde stronza!”
La rana si accorse che così non funzionava: la sua solitudine aumentava e si rodeva per trovare una soluzione.
Poiché era una rana vanitosa, ma anche abbastanza astuta, cambiò allora strategia: avvicinava le sue compagnucce di stagno e sussurrava: “Vedi quella libellula? Vedi come vola felice e contenta per lo stagno, mentre voi vi inzaccherate tra fango e acqua? Io me la mangerei in un boccone, ma vola troppo alta, quella maledetta! Lo sapete che mangia anche lei insetti, quella cannibale? Vi priva del vostro cibo! Non solo: quella malvagia succhiainsetti a tradimento può volare di stagno in stagno! Dovete sapere che passa l'estate in bellissime pozze d'acqua limpidissima e si sgranocchia piano piano mosche, moscerini e, inorridite!, girini!...”
Le rane dello stagno che mangiavano abitualmente in abbondanza non avrebbero dato ascolto a quelle parole, ma quell'anno c'era siccità e avrebbero dovuto stringere un po' la cintura.
Le parole della rana vanitosa fecero breccia.
Qualcuna gridò indignata: “Maledette libellule!”, altre: “Cannibali!”, altre ancora: “Libruttole, altro che Libellule!”
Finito il periodo di magra, le ranocchie, un po' ingrassate, non invidiavano più la leggera libellula che raramente volava alla portata della loro lingua. Mica era scema! Circolava voce, inoltre, che avesse non solo una vita difficile, ma anche breve.
La rana vanitosa l'anno successivo continuò imperterrita: “La libellula mangia molto e si nutre delle vostre mosche!” .
Vide che quelle parole ormai annoiavano il pubblico delle sue amiche ranocchie che, appena si accorgevano che attaccava con quel discorso, dicevano: “Ehm, scusa, abbiamo altro da fare! Abbiamo l'acqua sul fuoco e dobbiamo buttare i ravioli “Rana” nella pentola! Ci vediamo!”
La povera rana vanitosa, rimasta di nuovo sola, capì che doveva trovare altro, un nuovo argomento per suscitare l'invidia e la paura delle sue consorelle. Le richiamò dopo pranzo: “Uh, guardate la biscia d'acqua! Non solo mangia insetti, ma attenta alla vostra vita!”: l'argomento serpentino ebbe un breve successo in quell'estate, perché una biscia aveva veramente mangiato una ranocchia!
L'abitudine di ingigantire con la lente di ingrandimento della vanità ogni fatto fece sì che la rana vanitosa moltiplicasse per dieci il proprio racconto : “So per certo che nello stagno vicino, un'altra biscia d'acqua ha mangiato dieci povere raganelle! Speriamo che non venga nel nostro stagno, altrimenti....”
La paura incominiò a diffondersi nello stagno, ma poiché non poteva insistere con le bisce assassine a lungo dovette passare ad altri abitanti dello stagno di anno in anno: il rospo, la tartaruga, la salamandra.
Venne il giorno che i nemici delle rane erano diventati troppo numerosi e che il clima di incertezza fosse sempre presente, ma non portasse a nulla. A dir la verità qualcosa la rana vanitosa aveva ottenuto: come le pecore si addossano alle piante che hanno ampie fronde per proteggersi dal calore del solleone, così le rane vivevano sempre vicino le une alle altre, pronte all'attacco dei nemici che popolavano le loro menti e un poco di compagnia facevano alla rana vanitosa che, è vero, ampliava le loro paure, ma le conteneva nel contempo col suo IO imperioso che rassicurava le animule tremebonde delle gracili ranocchiette.
Un giorno, però, capitò un fatto strano: la rana vanitosa, vagando per lo stagno di vedetta alla ricerca di qualche libellula o rospo o biscia da cacciare dal territorio, si imbattè in un oggetto misterioso: si trattava di uno specchio lasciato cadere da qualche umano.
La rana vanitosa si avvicinò a quella superficie misteriosa e vide se stessa riflessa.
Dopo un primo momento di sconcerto, dapprima decise di gonfiare un poco la propria pelle per incutere timore all'intrusa. La rana vanitosa vide con stupore che la sua avversaria aveva fatto lo stesso. “Che sfrontata!” , pensò e , con maggior impegno, gonfiò ancora la sua pelle.
Gonfia, gonfia, effettivamente ora sembrava un enorme rospo e si compiacque del suo aspetto maestoso. Poiché non era per nulla stupida, pensò: “Se IO ingrandirò il mio corpo a dismisura tutte le rane dello stagno mi nomineranno loro Regina senza bisogno di elezioni! E di una sola cosa dovranno avere paura: di me! E non esiste Regina senza uno stuolo di Dame di compagnia! IO non sarò mai più sola perché tutti mi dovranno riverire e onorare; inoltre, non sarò più costretta ogni anno a inventarmi un nuovo nemico...”
Si diresse gonfia all'inverosimile dalle compagnucce dello stagno, convinta di sorprenderle e di lasciarle a bocca aperta.
Con gran sorpresa non la salutarono e non la riverirono.
La rana vanitosa non poteva parlare perché se avesse proferito verbo si sarebbe sgonfiata velocemente come un palloncino della fiera ripieno di elio destinato a perdersi tra le nuvole.
Un silenzio minaccioso e ostile calò nello stagno, finché un grido di battaglia si levò: “Dagli al rospo! Dagli al rospo!”. E con le canne aguzze le placide ranocchiette dello Stagno, addestrate dalla paura all'uso delle armi, accecate dalla loro stessa violenza e dal sangue, infilzarono la povera rana vanitosa che se ne rimase lì, trapassata in più punti da parte a parte come uno spiedino. Non volò via come si sarebbe potuto immaginare, ma si dice che dalle bolle schiumose delle ferite, spirante dai fori di entrata e di uscita, si sentisse il fiato dell'ultimo respiro moltiplicato per cento. 
“io?”. Minuscolo, ovviamente.                                                                                         arz62


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