Corollario del post precedente: l'idea
di far valere il doppio il voto deve serpeggiare minacciosamente
nella società.
Tramonti vuol far valere il doppio il
voto dei giovani e c'è chi ( anche un mio carissimo amico...)
intende raddoppiare il voto di chi ha figli ( e lui ne ha quattro e
, forse, seguendo il ragionamento fino in fondo, il suo voto dovrebbe
valere cinque , il suo e quello dei quattro, tra l'altro
simpaticissimi, figlioli).
Altri propongono un voto doppio per chi
ha un minimo di cultura politica, penalizzando così il voto delle
casalinghe di Voghera.
E' evidente il senso di fastidio nel
far pesare il ( proprio) voto consapevole e vòlto alle sorti
progressive dell'umanità quanto quello dell'elettorato
“berlusconizzato” ( perlopiù anziano e poco scolarizzato,
tendenzialmente conservatore e poco attento alle esigenze dei
giovani; non è questo ovviamente l'intendimento della proposta di Tremonti).
Tutti i commentatori percepiscono il
valore elitario della proposta, ma sembra che ci sia una coazione che
spinge molti (anche a sinistra) a questo tipo di ipotesi.
Purtroppo, il tutto ricorda la “seconda
riforma di Richelieu” ( non il Cardinale, un suo lontano parente)
che dava un peso maggiore al voto degli ottimati (1820); è inutile
osservare quanto tale manovra fosse fortemente reazionaria e
restauratrice.
E non c'è nobile del tempo fu che,
costretto a dare il voto ai contadini analfabeti, non abbia in cuor
suo desiderato di dimezzare, non potendolo nullificare, il voto
della plebe.
Ecco: tali proposte che a prima vista
sembrano dei barbatrucchi per degeriatrizzare la comatosa Italia
suonano come i peggiori e incoffessati desideri dell'aristocrazia ( allora
terriera e, adesso, intellettuale).
Non sono un politologo per cui aggiungo
una nota più leggera per banalizzare il mio intervento, in modo che qualcuno non mi faccia a pezzi con armi argomentative più affilate delle mie.
In terra orobica c'è un paesetto di
cui tacere il nome è bello che ha il gusto di raddoppiare tutto.
Viene chiamato il paese dei “dòpe” ( alcuni interpretano il nomignolo come “doppiogiochisti”).
Viene chiamato il paese dei “dòpe” ( alcuni interpretano il nomignolo come “doppiogiochisti”).
Sia come sia , quando arrivate al
paesello, modesto e caruccio, e vi dirigete verso la Chiesa ne trovate una che, fatte le debite proporzioni tra dimensione del paese e quelle dell'edificio, gareggia con il Duomo di Milano.
Non per sentirsi “doppi”, sia
chiaro, ma per fare sentire gli altri “la metà”;-)
©arz
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